venerdì 27 dicembre 2013

Siria: Belgio, fino a 5.000 europei combattono per Al Qaeda

(AGI) - Bruxelles, 27 dic. - La rete terroristica di Al Qaeda ha inviato in Siria tra i 4.000 e i 5.000 combattenti europei, con passaporto di Paesi dell'area Schengen. E' quanto rivelano fonti dell'intelligence belga citate dal quotidiano francofono Le Soir. (..)

Il destino del Sud Sudan (ThePostInternazionale)

Segnalo questa notizia, anche perché mi pare importante notare il tentativo di leader africani - pur con l'appoggio di altre potenze mondiali - di risolvere una grave crisi del continente.
FMM
I leader africani di Kenya e Etiopia sono arrivati giovedì in Sud Sudan per discutere della crisi che affligge il Paese. In una serie di incontri, cercheranno di mediare tra il presidente Salva Kiir e l'ex vice presidente Riek Machar, accusato di aver tentato il colpo di stato in Sud Sudan.
Il ministro dell'informazione  Michael Makuei Leuth ha fatto presente che il governo del Sud Sudan non ha ancora preso contatti formali con Machar. Al Jazeera riporta che Machar non prenderà parte agli incontri previsti per oggi.Le forze militari governative stanno pian piano riprendendo in controllo della città di Bentiu prima nelle mani dei militanti di Machar. La zona è ricca di petrolio e quindi è molto importante per l'economia del paese. (...)

L’arte della guerra nell’era dei contractor (da RivistaStudio)

«Difficile è il passo sul filo tagliente di un rasoio: così i saggi dicono che è ardua la via della salvezza». È un brano della Katha Upanishad, una delle più antiche scritture hindu, detta anche “La Morte come Maestra”. È citato in apertura del romanzo di Somerset Maugham Il filo del rasoio.
Sei sempre sul filo del rasoio parlando o scrivendo di coloro che agiscono nell’underworld o nel mondo del Grande Gioco globale. Poco a poco non distingui vero, falso, verosimile. Alla fine scopri che tutto può esserlo al tempo stesso. Dipende dal mondo in cui ti ritrovi, dalla storia che leggi o vivi.
In questo caso il primo passo sul filo si compie con un libro da poco uscito:Civilian Warriors: The Inside Story of Blackwater and the Unsung Heroes of the War on Terror. È la storia della Blackwater, società di PMC, private military contracting, il più potente esercito mercenario. È stato scritto da Erik Prince, l’uomo che nel 1997 ha fondato la società con un capitale di sei milioni di dollari e l’ha rivenduta nel 2010 dopo aver guadagnato circa due miliardi. È la “My Way” di Prince, che si era incamminato sul filo del rasoio militando nei Navy SEAL e quindi aveva deciso di investire il suo patrimonio «per servire Dio, la famiglia e gli Stati Uniti». Creando «lo strumento definitivo nella guerra al terrore».(...)

Sicurezza Europea - Il bicchiere mezzo vuoto della difesa (da AffarInternazionali)

(...) Il primo macro-tema riguarda l'efficacia e l'impatto della Csdp, ovvero gli obiettivi e il dove, come, quando, usare gli strumenti militari e civili di cui l'Ue e gli stati membri dispongono per la politica di sicurezza e difesa. Riprendendo il rapporto dell'attuale Alto Rappresentante Catherine Ashton, il Consiglio non dice quasi nulla di nuovo. Vi è solo un generico impegno da un lato ad aiutare attraverso la Csdp stati terzi a migliorare la loro capacità di controllo dei confini, e dall'altro a fare sistema con le attività Ue in questioni di cooperazione giudiziaria e di polizia per affrontare le questioni dell'immigrazione, della criminalità internazionale e del terrorismo. Un impegno che in ottica italiana ovviamente è più che benvenuto. (...)


Quanto alle capacità militari, il Consiglio sostiene in particolare quattro filoni di attività: velivoli a pilotaggio remoto (Remotedly Piloted Aircraft System - Rpas), capacità di rifornimento aereo, nuova generazione di comunicazioni satellitari governative e una roadmap di esercitazioni e training in ambito cyber-security.

Impegni più precisi sono espressi solo rispetto al primo filone. Si punta ad avere un Rpas europeo nel 2020-2025. Per farlo si pensa a: un programma per lo sviluppo di un Medium Altitude Long Endurante Rpas; la creazione di una comunità di utilizzatori - acquirenti e quindi finanziatori - tra gli stati membri interessati; sinergie con la Commissione per la cornice legale al fine di un'integrazione iniziale degli Rpas nel sistema di aviazione europeo dal 2016; appropriati finanziamenti alle relative attività di ricerca e sviluppo già dal 2014.(...)


Il Consiglio riconosce l'importanza della European Defence Technogical Industrial Base (Edtib) e di un mercato europeo della difesa integrato e competitivo. Importanza anche in termini di innovazione tecnologica, crescita economica e posti di lavoro per l'Europa. Tuttavia non si fanno grandi progressi. Lo stesso vale per le piccole e medie imprese. Sono riconosciute dal Consiglio come un motore di innovazione ed elemento chiave per la competitività dell'industria europea della difesa, ma non vengono presi impegni concreti a loro favore. (...)


Il Consiglio tornerà a occuparsi di difesa a giugno 2015, sulla base di un documento preparato a livello ministeriale a partire dai vari rapporti presentati da Commissione, Eda e Alto rappresentante. Si tratta cioè di un processo di medio periodo, che nelle sue varie tappe può avere un impatto più o meno significativo sulle capacità militari europee, sul comparto industriale e sulla politica europea di sicurezza e difesa. Molto dipenderà dalle azioni dei vari attori coinvolti.


Fermo restando che le decisioni fondamentali continueranno a dipendere dalla volontà politica dei principali governi europei, molto può essere fatto dalle istituzioni Ue e da altri soggetti pubblici e privati. Un ruolo non secondario è affidato al nuovo Alto rappresentante da scegliere nel 2014. Se avrà la personalità di un Don Abbondio, non c'è da aspettarsi un grande contributo da parte sua. Se la scelta cadrà invece su un Frà Cristoforo, potrebbe essere un'altra storia.


Sicurezza Europea - Non vedo, non sento, non parlo (da AffarInternazionali)

(...) Se a tutto questo aggiungiamo i grandi mutamenti strategici globali, della crescita della potenza cinese, anch’essa apparentemente orientata in senso fortemente nazionalista, al crescente orientamento della strategia americana verso il Pacifico, è a dir poco strano che gli europei non sembrino dedicare alcuna seria attenzione ai problemi della difesa e della sicurezza internazionale.

Eppure, malgrado numerosi esercizi sia in sede Nato (l’elaborazione di svariati “nuovi” concetti strategici) che nazionale (alcuni Libri Bianchi e altri documenti più o meno analoghi), non si è aperto alcun grande dibattito.

La riprova è nella mancanza di direzione strategica della politica estera, di sicurezza e di difesa dell’Ue, che pure era al centro dell’ultima revisione dei Trattati varata a Lisbona.

Sono state create alcune strutture operative, inclusi un “servizio di azione esterna”, una “agenzia di difesa europea”, svariati “battlegroups” e altre forme di cooperazione, sono state intraprese numerose missioni di gestione delle crisi, sia civili che militari, ci si è impegnati nei Balcani e in Afghanistan, tuttavia non si è tentato di rivedere, aggiornare e approfondire l’unico documento strategico approvato dal Consiglio Europeo il 12 dicembre del 2003, che va sotto il titolo di Strategia di sicurezza europea, ovvero “Un’Europa sicura in un mondo migliore”.

Global strategy

Quel documento presentava l’Ue come un attore globale pronto a condividere la responsabilità della sicurezza internazionale e della costruzione di un sistema di governo globale.

Nessuno ha mai rinnegato esplicitamente tali ambizioni, ma nessuno ha mai neanche tentato di renderle operative. Di più, ogni volta che è apparsa evidente la necessità di riprendere in mano quel documento per aggiornarlo, identificare le priorità strategiche e approntare i mezzi e le metodologie necessarie per applicare tale strategia di sicurezza, i paesi membri hanno rifiutato di farlo.

Ora però, il progressivo declino delle capacità militari europee e l’aggravarsi dello scenario globale, in particolare nelle regioni attorno all’Ue rendono la cosa più urgente e necessaria.

L’ottimismo che consentiva di iniziare il documento del 2003 con la frase “l’Europa non è mai stata tanto prospera, tanto sicura e tanto libera” non è più replicabile oggi.

Ma se gli europei continueranno a nascondersi all’evidenza, nessuna politica di sicurezza e difesa comune sarà realmente possibile e il quadro strategico europeo continuerà a degradarsi. 

Autobomba in Libano

Questa mattina intorno alle 9 e 40 ora locale, le 8 e 40 in Italia, un'autobomba è esplosa nel centro di Beirut, in Libano. La zona è quella degli alberghi e dei commerci, distante meno di un chilometro dal luogo dove fu ucciso l'allora premier Rafik Hariri e non lontano dal Serail, l'ufficio dell'attuale premier Najib Mikati. L'esplosione ha causato la morte di un ex ministro, Mohammed Chatah, attuale consigliere di Saad Hariri, il figlio dell'allora premier, Rafik, ucciso anche lui in un attentato (...)

http://www.ilfoglio.it/soloqui/21239

L’esplosione è avvenuta poco prima che cominciasse una riunione della coalizione del 14 marzo, in una casa di Hariri nel cuore di Beirut, tra la banca centrale e il palazzo del governo. I feriti sarebbero una settantina ma come sempre succede in questi casi c’è da aspettarsi che il bilancio delle vittime e dei morti salga col procedere della giornata. Poco prima di Natale un’autobomba era esplosa a un posto di blocco della milizia sciita di Hezbollah nella valle della Bekaa. All’inizio di dicembre attentatori suicidi avevano parzialmente colpito l’ambasciata iraniana, nel sud della capitale, uccidendo diversi feriti. Ma lungo tutto l’anno il Libano, con solo brevi pause, è stato sfigurato da ordigni esplosivi, come quello in agosto a Tripoli, nel nord del paese, che ha ucciso 42 persone davanti a una moschea sunnita. 

La stagione delle autobomba è il frutto avvelenato della guerra civile in Siria che fin dall’inizio è tracimata nel vicino Libano, sia a livello di combattenti che a livello di profughi. Come spesso è accaduto nella sua storia, il Libano diventa la scacchiera su cui potenze regionali e internazionali giocano la loro sanguinosa partita per la supremazia in Medio Oriente. (...)

Sud Sudan, Guerra Annunciata

Migliaia di sud sudanesi sono rimasti uccisi in una settimana di aspri combattimenti tra le forze del presidente del Sud Sudan Salva Kiir e del suo rivale Riek Machar. Lo ha reso noto in serata Toby Lanzer, capo della missione umanitaria delle Nazioni Unite nel Paese africano. 

«MIGLIAIA DI MORTI - «Non c’è alcun dubbio per me, il bilancio è di migliaia di morti», ha detto Toby Lanzer. In Sud Sudan la situazione è sfuggita di mano, le vendette tra le diverse fazioni politiche e gruppi etnici vanno avanti senza sosta ormai da parecchi giorni con attacchi e uccisioni mirate. Sono state ritrovate fosse comuni con 75 corpi di cui 34 sembrano appartenere a persone del gruppo etnico Dinka, mentre gli altri 41 non sono ancora stati identificati. Una fossa comune è stata scoperta a Bentiu, mentre altre due sono state rinvenute nello Stato di Juba, a Jebel-Kujur e Newsite. Non è chiaro di chi sia la responsabilità degli omicidi, personale Onu sta indagando sul posto.(...)



(...) Purtroppo bisogna fare i conti anche con i giornalisti che vogliono essere i primi a dare notizie e non le verificano, le esagerano, danno notizie solo da una delle due parti, e cosi facendo alimentano il conflitto, amplificano straordinariamente le tensioni, creano la psicosi. Mi è capitato di sentire un keniano evacuato il quale parlava concitatamente di pulizia etica in atto a Juba con uccisioni casa per casa, di torture e di stupri. Ad una domanda precisa e insistente ha finito con l'ammettere che lui non ha visto niente, che alla notizia degli scontri si è chiuso in casa ed ha saputo tutto dalle emittenti straniere. Come noi a Nairobi.
 
I fatti verificati, anche da un amico giornalista che ha visitato Juba per poche ore, sono comunque gravissimi e le vittime ormai si contano a migliaia. In un breve collegamento via facebook con Yida un amico sud-sudanese mi racconta episodi tremendi accaduti fra dinka e nuer. Finora i nuba non sono stati coinvolti.
  
Tutto era scritto a lettere chiare. Antipatico dirlo, ma mi era stato facile prevedere quello che sta succedendo in un blog dello scorso luglio. Sorprende che la comunità internazionale non sia intervenuta per tempo dopo tutte le dichiarazioni di sostegno al “paese piu giovane del mondo”? Niente più ci sorprende. Neanche che adesso la comunità internazionale esprima il solito finto stupore e faccia i soliti inefficaci interventi diplomatici.
 
La responsabilità è tutta e primariamente dei leader. Inutile cercare colpevoli esterni. Può esser vero che alcune forze estranee cerchino di approfittare della guerra per trarne vantaggi (forniture petrolifere), è certamente vero che il governo del Sudan, a Khartoum, gongola e probabilmente sta alimentando le tensioni. Ma non sono fattori determinanti. Il fattore determinante degli scontri è che i leader sud-sudanesi, che hanno studiato a Mosca e negli Stati uniti, usano la loro preparazione e competenza al servizio esclusivo delle propria sete di potere e trascinano le loro genti in avventure tanto inavvedute quanto criminali. Un peso gravissimo che condizionerà per molti anni ancora la possibile rinascita del Sud Sudan.


(...) Purtroppo, questa descrizione è riduttiva e riferita solo ad un segmento della società sudsudanese, ma mi ricorda quanto quel che sta accadendo in Sud Sudan - 1000 morti solo in questa settimana, a seguito dei 'disordini' successivi ad un tentativo di colpo di stato - fosse tristemente nell'aria ancor prima che il Sud Sudan ottenesse quella (giusta) indipendenza. Si veniva da decenni di guerra civile letteralmente scolpiti sulla pelle di una popolazione che già sapeva che l'indipendenza implicava solo la progressiva (tutt'altro che sicura) regolazione dei problemi con Khartum, ma non certo di quelli interni. In Sud Sudan esistono molte identità tribali - per giunta in conflitto tra loro - ma è tutta da verificare l'esistenza di quella nazionale.
Ora mi immagino questi ragazzi - che facevano a gara per mettersi in posa davanti al bovino più possente e strabuzzavano gli occhi di fronte alla loro immagine immortalata da una macchina fotografica digitale, un'immagine che fino a quel momento avevano visto solo riflessa sull'acqua di un torrente - nascosti tra i cespugli mentre si sparano tra di loro. Vigili e preoccupati, oltre che dai proiettili 'nemici', dagli assalti notturni dei leoni. Dal morso di un serpente. Dal veleno di scorpioni grandi come scarpe da trekking.
Pochi minuti dopo aver scattato queste foto - sulla via del ritorno a bordo di una jeep - ho assistito in lontananza all'esecuzione a sangue freddo di un ladro di bestiame, colto in flagrante. Cinquanta metri da me, non di più. Ricordo nitidamente come la cosa mi scioccò tutto sommato meno del previsto. Era passato un mese dal mio arrivo in Sud Sudan e la militarizzazione di un'area sottosviluppata trasmetteva sensazioni sinistre, ogni tanto. Il misfatto, non raro, era largamente prevedibile. Come un giorno di pioggia: poteva accadere, chiunque lo sapeva.(...)

lunedì 23 dicembre 2013

Il Sogno di Saccomanni (da Linkiesta.it)

Fabrizio Saccomanni ha fatto un sogno. Si è visto, in una piovosa e grigia mattinata londinese, uscire dal n.11 di Downing Street, proprio accanto alla residenza del primo ministro, e mostrare ai fotografi, riuniti per l’annuale occasione, una valigetta consunta che un tempo era rossa, sempre la stessa dai tempi di Gladstone per lo stesso rito. Un sorriso alla stampa, la valigetta alzata per i flash, poi via ai Comuni a depositare davanti ai rappresentanti del popolo il bilancio della Corona. Il bilancio è sigillato, solo lui ne conosce le cifre prima di sottoporlo al voto: prendere o lasciare.
 
(..​.) Quanti ministri del Tesoro (chiamati oggi, più pomposamente, dell’economia) hanno sognato la stessa britannica scena e si sono risvegliati nell’incubo quotidiano di Montecitorio e palazzo Madama. Westminster era quel che aveva in mente Beniamino Andreatta, il più inglese degli economisti democristiani, nel 1978 quando istituì la legge finanziaria che doveva essere composta idealmente del solo articolo 1, quello che fissa il saldo netto da finanziare (cioè la differenza tra entrate e uscite) e il limite del ricorso al mercato, cioè l’indebitamento annuo. Alla valigetta rossa del Cancelliere dello scacchiere faceva riferimento costante Luigi Spaventa, l’economista di sinistra che, da tutt’altra sponda, in quel clima di unità nazionale seguito al delitto Moro aveva contribuito a creare uno strumento più razionale per rendere conto del bilancio pubblico.
 
Il debito non era ancora così alto, arrivava sì e no al 70% del prodotto lordo, ma sia Andreatta sia Spaventa capivano che si sarebbe impennato ben presto per pagare a pie’ di lista le riforme sociali di quegli anni: le pensioni, la sanità per tutti, la cassa integrazione, la legge Prodi sui salvataggi aziendali, le regioni, insomma l’impalcatura dello stato assistenziale italiano così come lo conosciamo ancor oggi. Andreatta e Spaventa da allora in poi non hanno mai cessato di alzare il dito contro l’illusione del pasto gratis, cioè di poter sostenere la continua corsa della spesa pubblica senza pagare un prezzo, in termini non solo di entrate (cioè tasse) rimaste sempre, sistematicamente molto inferiori alle uscite, ma anche di efficienza e produttività. Entrambi erano ancora in prima fila, uno al centro e l’altro a sinistra, quando nel 1992 il debito pubblico arrivò al 120%, crollò la lira e con essa il sistema politico che aveva consentito a una intera generazione di spostare il conto sulla generazione futura. Hanno anche cercato un rimedio, si pensi alle privatizzazioni. Ma le cure peggiori del male sono state senza dubbio le manovre correttive (...)
 
Il modello britannico non è la panacea, la crisi fiscale dello stato è profonda ovunque, ma resta l’unico modo finora conosciuto per dare razionalità alla politica di bilancio, stabilire le responsabilità del governo e del parlamento nell’autonomia dei loro poteri. Quando ci sarà un ministro che esce da via XX Settembre con la sua ventiquattrore piena di cifre che nessuno conosce per recarsi alla Camera dei deputati unica istituzione depositaria del potere legislativo, ma senza facoltà di aumentare le spese, ebbene allora l’Italia sarà un paese più moderno e affidabile.
 

La lezione inglese sul lavoro (Corriere.it)

(...) Gli Stati Uniti di Obama e il governo Cameron offrono infatti due modelli quasi speculari di come affrontare la sfida dell’occupazione dal punto di vista politico-strategico. Nel settembre 2011, Obama annunciò con la grancassa un piano molto ambizioso (chiamato, appunto, American Jobs Act : attenzione al plurale) per creare milioni di nuovi posti di lavoro.

I piatti forti del pacchetto erano la riforma dell’assicurazione contro la disoccupazione, crediti d’imposta per le nuove assunzioni, riduzione dei contributi sociali, un programma di investimenti straordinari in infrastrutture, incentivi per le piccole imprese.
Il provvedimento sarebbe costato circa 450 miliardi di dollari: una cifra molto elevata, ma grazie alla quale, secondo il presidente, «milioni di americani sarebbero tornati al lavoro e sarebbero arrivati più soldi nelle tasche di tutti i lavoratori».
Proprio per i suoi costi e per le sue eccessive ambizioni il progetto si impantanò immediatamente all’interno del Congresso e alla fine Obama si è dovuto accontentare di poco: qualche incentivo fiscale per i nuovi assunti e un nuovo schema per finanziare le piccole imprese.
Il Regno Unito ha seguito un metodo diverso per affrontare il tema lavoro: non un «Masterplan» onnicomprensivo e radicale, ma una serie di Employment Reviews (revisioni delle politiche per l’impiego), volte a realizzare concretamente tre obiettivi strategici fissati da un conciso documento ad inizio legislatura: flessibilità, efficienza, equità. In questo modo sono state però introdotte varie misure innovative.
Muovendosi in largo anticipo rispetto alle raccomandazioni Ue, lo Youth Contract («contratto giovani») ha ad esempio offerto in due anni 500 mila opportunità di lavoro o formazione a giovani fra i 18 e i 24 anni, mentre il Workprogramme («Programma lavoro»), introdotto nel 2011, ha aiutato oltre 200 mila disoccupati di lungo corso a ritrovare lavoro.
Sul piano della strategia politica, la differenza fra il modello americano e quello inglese è chiarissima. Obama voleva far colpo con un progetto «di rottura», in vista della campagna per la rielezione che avrebbe preso avvio all’inizio del 2012.
Il Congresso ha bocciato gran parte del Jobs Act , ma Obama ha vinto le elezioni, anche grazie ai suoi annunci sul fronte del lavoro. Forte del successo elettorale e del patto di coalizione, il governo Cameron-Clegg ha scelto un approccio meno roboante, ma più efficace in termini di risultati, ponendosi in un orizzonte di legislatura.(...)

Ora le potenze si misurano nei mari d'Asia (da ISPIonline.it)

Dopo una breve parentesi di relativa tranquillità, di recente le acque del Mar Cinese Orientale sono tornate a intorbidirsi, contribuendo all’esacerbazione delle già non idilliache relazioni tra Tokyo e Pechino e a un generale clima di tensione nella regione.
Questa situazione di preoccupante instabilità è stata innescata dalla decisione di Pechino, annunciata dal Ministero della Difesa il 23 novembre, di creare una Zona di Identificazione per la Difesa Aerea (comunemente definita adiz, Air Defense Identification Zone) che insiste su un’area geografica in cui ricadono anche le celebri Senkaku (per i giapponesi) o Diaoyu (per i cinesi), un arcipelago di isolotti completamente disabitato e inospitale da decenni al centro di una disputa tra cinesi, giapponesi e taiwanesi, che ne rivendicano la sovranità sulla base di differenti ragioni ed evidenze storiche e giuridiche.  
È bene sottolineare, in primo luogo, come la creazione di una adiz non sia una pratica vietata: non si tratta di una zona in cui il traffico aereo è contingentato o proibito, ma di una “zona di sicurezza” posta in essere per scongiurare eventuali attacchi al territorio del paese che rivendica il controllo su quello spazio aereo. In quello spazio, quindi, velivoli non identificati sono tenuti a farsi riconoscere e, laddove necessario, possono essere perfino intercettati con lo scopo di essere identificati. Non esistono accordi internazionali che regolino le adiz: gli stati non sono esplicitamente autorizzati ad istituire queste zone, ma non è neanche loro esplicitamente negata la possibilità di farlo. 
È ovvio che il concetto di adiz non è nient’altro se non un lascito della Guerra fredda: furono proprio gli Stati Uniti – in maniera unilaterale – a dare vita alla prima adiz, negli anni ’50, al fine di abbattere il rischio di possibili attacchi a sorpresa da parte dei sovietici. Oltre alla questione relativa alla sicurezza, una adiz può soddisfare molteplici necessità: limitare il rischio di collisioni aeree, combattere i traffici illeciti di droga, aumentare la trasparenza riducendo la necessità di decollo dei jet da combattimento con scopi di ispezione visiva. (...)
Due sembrano essere le questioni aperte in questo gi-nepraio innescato dalle azioni cinesi. La prima è relativa alla volontà cinese di far rispettare fermamente la sovranità nei cieli sopra le isole Senkaku/Diaoyu: uno scenario in cui velivoli cinesi e giapponesi possano un giorno fronteggiarsi in quell’area è diventata una seria possibilità e potrebbe dare il via a una escalation militare. 
La seconda questione è probabilmente più importante, in particolar modo se vagliata in senso prospettico, e fa riferimento alla possibilità che questa nuova adiz cinese rifletta una più ampia intenzione di fare ricorso alla forza per appianare qualsivoglia disputa territoriale. La Cina ha cominciato a perseguire un approccio ambivalente: in primo luogo, facendo valere unilateralmente le proprie richieste minacciando il ricorso alla forza se necessario; ed in secondo, ampliando le proprie richieste mentre acquisisce i mezzi, inclusi quelli di tipo militare, per supportarle. La nuova adiz ricade pienamente in tale strategia di condotta, che diventa in questa specifica zona geografica ad alto rischio proprio perché deve confrontarsi con altri due paesi molto dotati dal punto di vista militare. L’estensione della zona di controllo cinese potrebbe comunque indicare una mossa preliminare a cui seguirà in un futuro prossimo o remoto il tentativo di forzare il controllo delle Senkaku/Diaoyu. 
In un’altra, non necessariamente non ipotizzabile, direzione, ci si potrebbe chiedere se la prossima mossa nella complessa agenda cinese, non possa essere l’imposizione di una adiz sulla regione del Mar Cinese Meridionale, che ricalchi in qualche modo la famigerata “linea ad U” all’interno della quale i cinesi fanno ricadere la quasi totalità delle acque disputate. (...)
Insomma, l’insegnamento dietro questa storia è che nonostante la storia, il sentimento nazionalistico, o le fonti energetiche siano fattori di rilievo per l’atteggiamento cinese, la verità è che gli Stati Uniti e il Giappone – per rimanere alle Senkaku/Diaoyu – saranno costretti a modellarsi in relazione alle capacità(anche militari) e agli interessi cinesi. Ciò che stiamo vivendo ci insegna quindi che la crisi sino-giapponese sulle Senkaku/Diaoyu, piuttosto che essere risolta con le leve della diplomazia, potrebbe rappresentare il preludio per più ampi conflitti nella regione. 

domenica 22 dicembre 2013

Bengasi, kamikaze fa strage al check point: tredici morti (da laStampa.it)

Il pick-up Toyota si è avvicinato al check point di Aguiria, un villaggio sulla strada fra Bengasi e Tobruk, a una cinquantina di chilometri dal capoluogo della Cirenaica. Ha accostato, tranquillo. Poi il guidatore, «giovanissimo», ha azionato il detonatore. Una tremenda esplosione che ha falciato tutti gli uomini della sicurezza. Almeno tredici i morti, una decina i feriti. 

È il più grave attacco a Bengasi dall’assalto dell’11 settembre 2012 al consolato americano, che costò la vista all’ambasciatore Chris Stevens. E gli autori sono gli stessi. Gli uomini di Ansar al Sharia, la versione di Al Qaeda nella Libia orientale, cresciuti a una delle scuole più influenzi dell’estremismo islamico, quella della vicina città di Derna. Il villaggio di Aguiria è una delle loro roccaforti. (...)

E' politica, quella dei bei gesti?

Non vorrei sempre fare il bastian contrario, ma ho qualche dubbio sul bel gesto (indubbiamente bello e coraggioso) del giovane deputato pd Khalhd Chaouki che si è rinchiuso nel centro di Lampedusa. I deputati avrebbero altri mezzi - le ispezioni, per esempio - per far prevalere le tesi politiche e difendere i cittadini. 

Il rischio è che involontariamente questi bei gesti (come lo sciopero della fame per la legge elettorale, per esempio, gesto diversissimo ma analogo per "violenta non violenza") siano sistemi un po' "ricattatori" ("non esco finché...") che delegittimano di fatto l'istituto parlamentare e non risolvono il problema. 

Nell'urgenza imposta dal parlamentare, probabilmente verrà in qualche modo "tappato il buco", magari verrà risolto il problema di alcune persone (magari gli attualmente presenti), ma difficilmente verrà governato sul serio il problema. E comunque rimane discutibile il mettere in gioco il proprio corpo e la propria persona. 

Capisco l'intento molto nobile - un po' come quando un ambasciatore si infila fra profughi in guerra per tutelare delle vite umane (ma un ambasciatore è un ambasciatore, un parlamentare un parlamentare) - ma rimango perplesso sulla torsione "testimoniale" che sta prendendo la politica italiana. 

Se un parlamentare si mettesse a digiunare con i malati di Stamina e si lasciasse morire se il ministero non la autorizzasse, dovremmo pensare che quella "cura" (si fa per dire) è giusta? Si è persa completamente la capacità di creare le propspettive di una discussione generale e razionale sui problemi?

Il Pericoloso Passo Indietro della Spagna

Era forse inevitabile che la crisi economica trascinasse nella sua spirale, oltre ai diritti sociali (cosa amara, ma in qualche modo comprensibile, in quanto diritti necessariamente "economici"), anche i diritti civili dati come acquisiti. 

La scelta della Spagna - che in un certo senso aveva modernizzato quasi "in eccesso", con la politica di Zapatero che segnava un'avanguardia (forse poco elaborata e condivisa) su questo fronte - di tornare indietro su un tema come l'aborto segna un passaggio pericoloso, per vari motivi che provo a spiegare.

1. Sul merito della questione giova ripetere quanto già detto e documentato migliaia di volte, da più parti: restringere le condizioni dell'aborto legale non servirà a diminuire realmente l'entità del fenomeno e sposterà nella clandestinità l'interruzione di gravidanza. Ci sono fenomeni che attengono alla sfera privata della vita delle persone che non possono essere regolati con troppa severità o minuziosità dallo Stato. Sono materie che è inevitabile lasciare all'autonomia delle persone. 

Non si discute del fatto che l'aborto sia un dramma; e può essere tristemente vero che rendere praticabile l'aborto legalmente rischi di renderlo "più facile" anche per persone inconsapevoli, o in casi che potrebbero essere gestiti diversamente.

Ma non c'è scelta, ed è forse questo che sembra non accettabile, per alcuni: bisogna fidarsi delle donne. L'alternativa è secca e pericolosa, ed è appunto la clandestinità e l'ipocrisia: il valore declamato nella legge, ma rischiosamente (per la salute e la vita delle donne, soprattutto) contraddetto nella pratica silenziosa e sotterranea.

2. Quanto più la politica sembra incapace di regolare le questioni economiche, tanto più si cerca di retrocedere (o avanzare, anche) sul piano di questioni cosiddette "etiche"; quasi a voler rimarcare una "sovranità perduta", lo Stato tenta di regolare la società anche in campi in cui il regolamento rischia di essere più dannoso che positivo

Questo può accadere, in teoria, anche con scelte "progressiste": la sinistra spesso dà l'impressione di maneggiare queste tematiche "a surroga" di una perduta capacità della propria parte di incidere sulle questioni sociali.

Beninteso: le questioni civili hanno una ricaduta, e forte, anche sullo status economico e sociale delle persone, naturalmente. Quindi sulla loro effettiva eguaglianza e libertà. E anche in questo senso il passo indietro della Spagna sembra pericoloso, perché di fatto rende la donna meno libera.

Ciò detto, vale la pena soffermarsi sul fenomeno più generale, e che la svolta della Spagna sembra confermare: una politica impotente nei fatti crudi dell'economia non cerca nuove soluzioni, ma "alza la voce" - e la spada del diritto - su questioni che - in ultimo - non potrà mai pienamente controllare, rendendo banalmente più difficile - e più sofferente - la vita ai cittadini.

3. Rischio "imitazione". L'Italia non è la Spagna, e il lungo processo che ha portato alla legge 194 forse ha creato un buon sostrato culturale, in grado di "assorbire" la tentazione di "revanscismo" su questo fronte. Ma anche in questo caso, una retorica mal dosata - e mal pensata - di "rientriamo nei ranghi" rivolto alle scelte di progresso degli anni '70 (magari collegandole impropriamente a altre scelte non sempre felici di quegli anni) - può essere una pericolosa arma di seduzione per una politica troppo incline agli slogan.

"It's the Economy, stupid", era lo slogan degli anni di Clinton. Prima la politica tornerà a guardare - con concretezza ed umiltà - a ciò che è possibile e realizzabile in quel campo, meno toccheremo con inefficaci regole le vite delle persone; solo così daremo ai cittadini i mezzi per decidere - da soli - della loro vita (e della loro morte) e di come trovare la loro felicità.

Unione bancaria, la partita sulla leadership europea e i diktat tedeschi (da HuffingtonPost.it)

(...) Il primo obiettivo, riguardante l'accentramento della vigilanza, è stato raggiunto: è stato, infatti, adottato un regolamento e il sistema sarà pienamente operativo dal prossimo anno. Alla Banca Centrale Europea spetta la vigilanza diretta sulle principali banche (circa 130), mentre resta in capo agli organi nazionali quello sulle altre banche (ferma restando la facoltà della BCE di intervenire per assicurare la coerente applicazione degli standard europei). Nel frattempo è partita l'Asset Quality Review che insieme agli stress test consentiranno alla BCE di avere una radiografia accurata del sistema bancario europeo.

Il secondo obiettivo, discusso in questi giorni, riguardava, invece, la creazione di un meccanismo comune di gestione delle crisi creditizie che possano avere ripercussioni gravissime sul paese di appartenenza e, in ultima analisi sull'intera Eurozona, com'è accaduto per Portogallo, Spagna, Cipro, e come avverrebbe se la situazione italiana dovesse precipitare. La Commissione ha proposto un meccanismo uniforme che però ha incontrato notevoli resistenze soprattutto dalla Germania. Al di là dei pretesti giuridici inizialmente invocati (non c'è una base giuridica nel Trattato, la competenza dovrebbe spettare al Consiglio e non alla Commissione) il vero tema era: chi paga in caso di default di una banca? La preoccupazione sottostante era ancora una volta che i contribuenti tedeschi finissero per pagare per il salvataggio di banche dei paesi del sud Europa.

Di qui una serrata battaglia per assicurarsi che innanzi tutto le crisi gravino, con un ordine di priorità prestabilito, su azionisti, obbligazionisti, creditori e clienti (salvo quelli garantiti per depositi fino a 100.000 Euro). E' poi stata prevista l'istituzione di un fondo comune, alimentato dalle stesse banche, che nell'arco di una decina di anni dovrebbe raccogliere cinquantacinque miliardi. Fin qui tutto bene. Il problema è che succede nel frattempo, in caso di crisi, se questi fondi sono insufficienti. Lo stesso rischio vale a regime dinanzi a crisi di proporzioni simili a quella passata. Su questi temi lo scontro si è fatto pesante e nei giorni scorsi il Ministro Saccomanni ha preso carta e penna per chiarire formalmente la propria posizione, favorevole all'utilizzo anche di fondi pubblici dell'UE. Alla fine il compromesso trovato nella notte sembra prevedere che gli Stati o l'European Stability Mechanism possano erogare finanziamenti ponte, ove necessario.(...)

Lo scandalo per la corruzione in Turchia (da ilPost.it)

(...) Da una settimana lo scandalo è sulle prime pagine di tutti i principali giornali e siti turchi. Diversi commentatori, anche distanti dal governo, sembrano in qualche modo dare ragione alla teoria del complotto espressa da Erdoğan, scrive BBC. Gli arresti e i successivi licenziamenti sono i segnali di uno scontro interno alla politica turca e più precisamente a due ali dell’AKP al governo. I due attori principali di questo scontro sarebbero Erdoğan e i settori del partito più vicini a Fethullah Gülen, un religioso musulmano che vive negli Stati Uniti.

Gülen, 72 anni, ha creato una grande rete di scuole private in tutto il Medio Oriente, possiede giornali e altre imprese e ha fondato un movimento, Hizmet (“servizio”), di cui si dice facciano parte numerosi esponenti della magistratura, delle forze dell’ordine turche e persino diversi membri dell’AKP, il partito del primo ministro Erdoğan. In questi giorni Gülen ha pubblicato sul suo sito Internet un video in cui critica duramente il governo per la rimozione degli ufficiali di polizia che hanno portato avanti le indagini di questi giorni. Gülen ha negato qualsiasi coinvolgimento diretto con le operazioni di polizia.

In questi giorni Erdogan non ha mai nominato esplicitamente Gülen, ma ha dichiarato che gli arresti di questi giorni sono opera di una “banda criminale” e di un “complotto organizzato all’estero” che ha l’obbiettivo di creare “uno stato nello stato”, tutte espressioni che, secondo i commentatori, stanno a indicare Gülen e il suo movimento Hizmet come responsabili delle inchieste e degli arresti di questa settimana.
L’AKP è una coalizione di diversi partiti di ispirazione conservatrice, religiosa e nazionalista, tenuti insieme dal carisma di Erdoğan, ritenuto il politico turco più popolare degli ultimi decenni. (...)

«Militari italiani intervenuti per evacuare personale umanitario» (dal Corriere.it)

«Non negli ultimi giorni ma nelle ultime ore» i militari italiani sono intervenuti in Sud Sudan per «consentire a 73 operatori umanitari, molti di loro milanesi, di poter ripiegare e tornare serenamente in pace». Lo ha detto il ministro della Difesa, Mario Mauro, intervenendo all’incontro di auguri natalizi con i vertici militari del Presidio di Milano .
COLPITI DUE AEREI USA - Intanto la situazione nel Paese resta ad alta tensione per gli scontri in corso, da una settimana , tra militari dell’Spla (Esercito per la Liberazione del Sudan) rimasti fedeli al presidente Kiir (etnia Dinka) e quelli che hanno aderito alla ribellione guidata - secondo fonti non confermate dall’interessato - dall’ex vicepresidente Rijek Machar (etnia Nuer). Sabato quattro soldati statunitensi sono rimasti feriti - uno in maniera molto grave - durante un attacco di soldati dissidenti dell’esercito sud sudanese che hanno sparato dalla città di Bor contro due aerei militari Usa V22 Osprey impegnati in operazioni di evacuazione nell’area, appena conquistata dai ribelli.(...)

martedì 17 dicembre 2013

L’effetto farfalla inquieta Draghi (da ilFoglio.it)

La partenza di Jörg Asmussen dalla Banca centrale europea è “un’enorme perdita per il Consiglio esecutivo e per me stesso personalmente. Andavamo molto, molto, molto d’accordo”. Mario Draghi non poteva essere più esplicito, ieri, davanti al Parlamento europeo, sulla decisione di Asmussen di abbandonare Francoforte per tornare a Berlino come sottosegretario al Lavoro in quota socialdemocratici nel governo Merkel III. C’è il pericolo di vedersi piombare nel board della Bce un super-falco tedesco, come l’attuale vicepresidente della Bundesbank Sabine Lautenschläger, favorita della coppia Schäuble-Weidmann per succedere a Asmussen. C’è il rischio di indebolire la posizione europeista della Bce sull’Unione bancaria, nel momento in cui i ministri delle Finanze negoziano gli ultimi dettagli del Meccanismo unico di risoluzione delle banche in crisi. Soprattutto, con il trasloco di Asmussen, Draghi perde un alleato formidabile di fronte all’opinione pubblica tedesca e un canale di comunicazione permanente e influente con Angela Merkel. “I contatti di Asmussen nel governo tedesco mancheranno sicuramente” alla Bce, ha spiegato l’economista di Ing Carsten Brzeski a Bloomberg: “Agiva come contrappeso, difendendo in modo convinto la linea della Bce”.(...)

A differenza di Weidmann, Asmussen non può essere classificato come un falco. Semmai rientra nella categoria sempre più rara di europeista convinto, pronto a utilizzare la creatività pur di preservare la zona euro nel suo insieme. Dopo aver difeso la Long Term Refinancing Operation (l’iniezione di liquidità da mille miliardi del dicembre 2011), Asmussen ha votato a favore dell’Outright Monetary Transactions (il cosiddetto “scudo anti spread” annunciato nel settembre dello scorso anno) e di due precedenti tagli dei tassi. Secondo i ben informati, senza i pranzi del lunedì a Berlino tra Asmussen e la cancelliera, sarebbe stato impossibile forgiare il patto tra Merkel e Draghi che nell’estate dello scorso anno ha permesso di salvare la zona euro con lo scudo anti spread. Non è un caso se era stato Asmussen a difendere davanti alla Corte costituzionale tedesca l’Omt dagli attacchi politico-giuridici-monetari di Weidmann.(...)

Cose Di Libia

La tortura in Libia è diffusa, ancora oggi, per punire i nostalgici del vecchio regime e, di nuovo, migranti e richiedenti asilo.
Hussein Radwal Rahel non era un dissidente ed era un cittadino libico, per di più un soldato scelto delle Forze Saiqa, un’unità speciale costituita da commandos alle dipendenze del ministero della Difesa. “Era”, perché di tortura è morto il 2 dicembre. Più esattamente, per infarto e arresto cardiocircolatorio a seguito di tortura.
L’autopsia ha confermato le accuse dei suoi genitori, a loro volte corroborate da fotografie del cadavere, ripreso col volto tumefatto, con lividi al petto, alla schiena e alle gambe e con segni di scariche elettriche sulle braccia. (...)

BENGASI, 15 DIC - Il leader dell'autoproclamata zona autonoma della Libia orientale, Ibrahim Jathran, ha annunciato che i terminal petroliferi dell'area resteranno chiusi nel quadro del braccio di ferro in corso con Tripoli. I negoziati per far riprendere l'export del greggio -ha detto - sono falliti.

Ansaldo Sts taglia il portafoglio ordini di 172 milioni in seguito a un contenzioso che si e' aperto sul contratto in Libia da 202 milioni di euro con Zarubezhstroytechnology (ZST), controllata delle Ferrovie Russe RZD JSC, per la linea Sirth - Benghazi, sospeso dopo gli eventi bellici che hanno interessato il Paese nordafricano negli ultimissimi anni. lo rende noto il gruppo dopo un cda dedicato proprio all'esame della situazione in Libia, dove oltre a a questa commessa fu firmata un'intesa con le Ferrovie Libiche, per 541 milioni di euro, luglio 2009, per la realizzazione delle linee Ras Ajdir - Sirth e Al-Hisha - Sabha. Per entrambi i contratti - spiega il gruppo in una nota - furono ricevuti anticipi pari a 135 milioni di euro circa per il primo e di 71 milioni di euro circa per il secondo, rilasciando alle controparti advance payment bond di importo corrispondente. A causa degli eventi bellici i contratti di cui sopra furono sospesi per forza maggiore. In tutti gli incontri tenutisi successivamente con i rispettivi clienti e' sempre stata confermata la volonta' delle parti di prorogare la sospensione dei contratti suddetti, in previsione di una futura ripresa dei lavori. In particolare diversi sono stati gli incontri con Zarubezhstroytechnology (ZST), di cui l'ultimo nel luglio 2013. Inaspettatamente, agli inizi del mese di agosto 2013 la Zarubezhstroytechnology (ZST), tramite l'escussione dell'advance payment bond rilasciato da Credit Agricole a favore di Zarubezhstroytechnology (ZST), ha chiesto ad Ansaldo Sts - prosegue la nota - la restituzione dell'anticipo, relativo al contratto per la linea Sirth - Benghazi, notificando altresi' la volonta' di terminare lo stesso. Ansaldo Sts ha affermato l'illegittimita' della risoluzione nelle forme espresse da Zarubezhstroytechnology (ZST) sostenendo inoltre come questa avesse diritto alla restituzione solo parziale dell'anticipo al netto del valore delle attivita' gia' realizzate e dei costi sostenuti. La procedura d'urgenza che ne e' scaturita e' stata risolta con un'ordinanza della fine di novembre del Tribunale di Milano che ha autorizzato Credit Agricole a liberare parte dell'anticipo, per circa 41 milioni di euro. Sulla base di tale ordinanza Ansaldo STS ha gia' provveduto alla restituzione parziale dell'anticipo. Successivamente a questa fase cautelare il contenzioso procedera' nelle forme ordinarie a meno che non si trovi una soluzione transattiva tra le parti.

«Tra Italia e Libia c'è una lunga stroia che ci unisce. Ora noi dobbiamo costruire infrastrutture stradali, fognature, stabilimenti per la conservzione alimentare di ortofutta, migliorare la produzione di pasta che oggi importiamo dalla Tunisia; tutte grandi opportunità per le Pmi italiane, dotate di una grande esperienza passata di collaborazione con la nostra economia che sta avvicinandosi a un sistema di libero mercato», spiega Abushagur in occasione del convegno "Libia, un interesse nazionale per l'Italia" promosso dall'Agenzia Network globale, che si terrà alle 9,30 del 13 dicembre, alla Sala Consiglio della Camera di Commercio di Roma.
di Vittorio Da Rold - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/XahPa

Il gas israeliano, l'Italia, l'Europa

La recente scoperta di ingenti riserve di gas naturale nelle acque del Mediterraneo di fronte a Israele ha aperto un’opportunità inattesa per l’Europa. Le maggiori riserve sono nel bacino di Tamar, in produzione dal marzo 2013, a 90 km dalla costa. Si tratta di riserve stimate 282 miliardi di metri cubi (mld mc), che assicureranno a Israele, paese fino a oggi importatore, la copertura della domanda interna. A queste si aggiungono le riserve del Leviatano, a 130 km dalla costa, stimate 536 mld mc, in produzione dal 2017, in larga parte per esportazione. Vi sono poi riserve più piccole: Dalit (14 mld mc), Tanin (33 mld mc), Mari B (30 mld mc) e due campi in territorio Palestinese di fronte alla striscia di Gaza (Marine 1 e 2, di 30 mld mc complessivi). È un’opportunità da cogliere senza esitazione, perché può attivare percorsi virtuosi di grande importanza, sia per l’Unione europea che per la regione intorno a Israele, secondo tre diverse prospettive: economica, di politica europea e geopolitica.

Oligopolio addio 
L’Europa affronta oggi un serio problema nel costo dell’energia che ostacola la crescita e mina la competitività, soprattutto nei confronti dell’industria di base americana, tornata a operare attivamente dal 2011-12, anche grazie al crollo del prezzo del gas non convenzionale (tra i 2$ e i 4$ /mc, a fronte di un prezzo europeo quattro volte più alto, intorno ai 12 euro/mc negli hub e sopra i 25 euro/mc nei contratti take or pay indicizzati al petrolio, che ancora coprono più della metà del gas d’importazione). Dal 2011, si sono attivate in Europa regole per molti aspetti dirompenti che eliminano le barriere contrattuali tra i paesi membri, accrescendo flessibilità e capacità di tenuta del mercato energetico. L’obiettivo di un mercato europeo dell’energia è fissato dalla Commissione in termini ottimistici al 2014. Il problema resta però a monte, nell’oligopolio dei pochi produttori che determinano offerta e prezzi e dai quali l’Europa dipende per il 54% delle fonti primarie. Si tratta di un ristrettissimo numero di paesi extra-europei che fanno un uso politico delle proprie risorse (Russia) o sono politicamente instabili (Algeria, Libia, Nigeria, Qatar). La diversificazione delle fonti è dunque un elemento chiave per ridurre il costo dell’energia.  (...)
In questo quadro incerto, le riserve israeliane di gas naturale si presentano come una risorsa geograficamente vicina, a un prezzo intorno ai 5 dollari/mc, non lontano da quello dello shale gas americano. Sono riserve di entità contenuta nell’immediato, ma nel medio periodo possono essere un “game changer” per l’intera regione. Infrastrutture strategiche Sul piano politico, questa scoperta costituisce un potenziale elemento di coesione per l’Europa, poiché può accrescere la forza contrattuale dell’Unione nei confronti dei produttori tradizionali. È dunque complementare alla politica d’infrastrutture strategiche recentemente avviata, da ultimo con l’approvazione del gasdotto Tap, che trasporterà gas azero (20 mld mc iniziali) attraverso Albania e Grecia in Italia per poi raggiungere l’Europa del Nord attraverso il Corridoio Adriatico, uno dei progetti considerati strategici dalla Commissione nel 2013. La progettazione flessibile del gasdotto lo rende fruibile per il trasporto di gas proveniente da altri punti di produzione nel Mediterraneo, ma sono previste anche altre infrastrutture. I paesi dell’Europa meridionale possono trarne notevoli vantaggi economici grazie all’indotto e all’occupazione generata dagli investimenti, ma anche alla forza contrattuale che acquisiranno con il ruolo di corridoio di ingresso per un gas a prezzi competitivi. Potranno così anche attenuarsi le disparità economiche tra Nord e Sud dell’Europa.(...)
Il governo israeliano si è inoltre attivato nei confronti di Grecia, Italia e Cipro per studiare le opportunità di transito verso l’Europa in attesa di migliori rapporti con la Turchia, e infine con Bruxelles. (...)

L'Italia potrebbe diventare in un futuro non troppo lontano il punto d'approdo per tutto il Nord Europa del nuovo gas estratto dai megaciacimenti offshore scoperti tre anni fa a largo delle coste israeliane. È quanto emerso ieri durante i colloqui tra il premier italiano, Enrico Letta, e quello israeliano, Benjamin Netanyahu, che hanno presieduto a Roma il quarto vertice intergovernativo italo-israeliano. Letta e Netanyahu hanno condiviso le stesse preoccupazioni sulla situazione in Siria e in Libia mentre sull'Iran e la prossima riunione di Ginevra 2 Letta si è detto «cauto ma fiducioso» mentre Netanyahu ha ribadito le sue perplessità. Gerardo Pelosi - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/MgnfB

Tapering o non tapering? Questo è il problema (da ilSole24Ore.it)

Tapering o non tapering? Questo è il problema. Ed è la domanda finanziaria del momento. Oggi si riunisce il Fomc (il comitato operativo della Federal Reserve degli Stati Uniti) in una due giorni che porterà domani al verdetto di fine anno. Domani si conoscerà se il governatore Ben Bernanke (alla sua penultima audizione, l'ultima sarà a gennaio dopodiché lascerà il posto a Yanet Yellen) annuncerà l'avvio del piano di riduzione graduale degli stimoli monetari da 85 miliardi di dollari al mese (45 miliardi di titoli di Stato e 40 miliardi di titoli agganciati ai mutui). La partenza del piano non è cosa di poco conto (...) 
 
di Vito Lops - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/MXVxh

Cina - Ucraina

Il mancato rinnovo dell'affitto da parte di Mosca ha indotto Kiev, la cui Marina non dispone di portaerei, a puntare su clienti esteri e soprattutto su Pechino che per addestrare i suoi piloti ha bisogno di infrastrutture come quelle del NIKTA (piste con cavi d'arresto e rampe inclinate di decollo "skt jump") che simulano il ponte di volo della Liaoning, la portaerei cinese gemella della russa Kuznetsov acquistata prima del suo completamento nei cantieri ucraini quando si chiamava Varyag. Anche i velivoli impiegati dai cinesi sono molto simili aquelli che equipaggiano l'aviazione navale russa (...)
 

Accordo Russia - Ucraina

Dopo avere incontrato il presidente ucraino Viktor Yanukovich a Mosca, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che la Russia investirà l’equivalente di 15 miliardi di dollari in titoli di stato dell’Ucraina e che ridurrà il prezzo del gas che fornisce al paese di circa un terzo. Putin ha spiegato che questa soluzione aiuterà l’economia ucraina a riprendersi dalla crisi in cui si trova, rafforzando i rapporti commerciali tra i due stati. L’accordo arriva in un periodo difficile per Yanukovich, che da settimane deve fare i conti con enormi proteste di piazza a Kiev contro la sua decisione di ritardare un accordo commerciale con l’Unione Europea, dimostrando una certa dipendenza dalla Russia di Putin.

Il prezzo del gas russo passerà dagli attuali 400 dollari a 268,5 dollari ogni mille metri cubi, ha detto Putin, aggiungendo che “Russia e Ucraina sono unite da secoli di amicizia e hanno vissuto a lungo insieme come uno stesso paese”. Negli ultimi anni i rapporti commerciali tra i due paesi sono progressivamente diminuiti e la Russia mira a rinvigorirli, comprendendo anche altri paesi dell’ex Unione Sovietica per facilitare gli scambi delle merci e la possibilità per i lavoratori di trovare impiego nell’area, anche in paesi diversi da quelli di origine. (...)


(...) Mentre il presidente ucraino stringe accordi con Putin l’opposizione continua a protestare per lo stop all’accordo di associazione all’Unione Europea. Yanukovich aveva chiesto a Mosca un prestito per alleviare la crisi economica e tacitare le proteste europeiste. Un anticipo di contante urgente che sembrano tanto una ricompensa di Putin per la clamorosa inversione a U sul patto con Bruxelles. (...)

lunedì 16 dicembre 2013

Michelle Bachelet presidente del Cile (da Corriere.it)

(...) Secondo i primi exit poll la candidata del centrosinistra ha raggiunto il 61 per cento dei voti, distaccando l’avversaria di destra Evelyn Matthei, ferma al 39 per cento. 

La Bachelet, già al potere dal 2006 al 2010, ha 62 anni e proviene da un incarico nell’agenzia Onu per le donne, dove si è fatta apprezzare per il suo impegno. Tornata in Cile all’inizio dell’anno, ha ricostruito la vecchia alleanza di centrosinistra, ora ribattezzata Nueva Mayoria, aprendola ai comunisti e ai movimenti sociali. Importante il suo dialogo con gli studenti, protagonisti da anni di una dura protesta contro il sistema privato ereditato dalla dittatura militare. Alcuni dei loro leader oggi siedono in Parlamento. Bachelet ha promesso una sterzata per rispondere alle richieste degli studenti e di altre categorie escluse dai benefici del miracolo cileno, dove la crescita economica non ha eliminato le forti diseguaglianze sociali.(...)

Tensione al confine Israele - Libano

Notizie appena arrivate (scrivo che sono le 0:28...) e che sono da prendere con la massima cautela in attesa di ulteriori dettagli.

FMM

AGI) - Gerusalemme, 15 dic. - Ci sarebbe una vittima tra i soldati israliani che in serata sono finiti nel mirino di truppe libanesi. Lo riferiscono fonti della sicurezza di Beirut citate dal quotidiano locale 'The Daily Star'. In precedenza la tv di Hezbollah, al Manar, aveva sostenuto che un soldato israeliano sarebbe stato ucciso ma mancano conferme indipendenti.(...)


An Israeli soldier was killed on Sunday evening by shots fired from Lebanese territory. The shooter was evidently a Lebanese soldier.
Israel has lodged a complaint with the Lebanese government and with the United Nations, but it does not seem as though this incident will lead to a broader confrontation between the two countries.
The soldier's family has been informed of his death.
Around 8:30 P.M. an Israeli military vehicle moving near the border with Lebanon was struck by six or seven bullets fired from a light firearm, evidently from a relatively short distance. The incident occurred just east of an Israel Defense Forces post in Rosh Hanikra. 
The IDF did not immediately respond to the incident.(...)

Dove va l'Irlanda? (da ilPost)

Domenica 15 dicembre l’Irlanda è uscita dal programma di aiuti europei (il cosiddetto “bailout”) cominciato tre anni fa in seguito allo scoppio della crisi finanziaria. Da allora, l’Irlanda aveva ricevuto una serie di prestiti pari in tutto a 85 miliardi di euro. Questi prestiti sono stati concessi in cambio di alcune misure fiscali, un esempio della cosiddetta “austerity” che ha riguardato diversi altri paesi europei.

Da adesso, l’Irlanda tornerà a fare affidamento sul mercato per finanziare la propria spesa pubblica. Il paese sta attraversando un momento di ripresa economica, ma, come fanno notare quasi tutti gli osservatori, si tratta di una ripresa ancora fragile. Nonostante questo, il governo ha già promesso che dall’anno prossimo le tasse, alzate fino a raggiungere il record storico durante la crisi, saranno abbassate.

L’uscita dal programma di aiuti ha fatto tornare attuale una discussione che divide da molto tempo gli economisti, i commentatori e la stessa Commissione europea: l’Irlanda è davvero la dimostrazione che austerity più riforme incisive possono salvare un paese dalla crisi e riportare la crescita economica?

La crisi dell’Irlanda
Il Financial Times ha scritto che l’uscita dell’Irlanda dal programma di aiuti è un segno dell’importanza di rimuovere i legami tra lo stato e le banche. Nel 2010, infatti, il bilancio dell’Irlanda era in una situazione ancora gestibile, ma le sue banche si trovavano in una profonda crisi. Il governo intervenne per aiutarle in una maniera che si rivelò poi disastrosa.
La soluzione scelta per salvare il sistema finanziario dal governo dell’epoca – legato ai dirigenti e ai proprietari di diversi istituti bancari – fu di garantire completamente i debiti di sei banche. Questa garanzia si rivelò immensamente più costosa di quanto il governo aveva immaginato. In sostanza, il debito delle banche divenne debito dello stato, che passò in pochi anni dal 25 per cento del PIL all’attuale 124 per cento. A causa di questa situazione, alla fine del 2010 l’Irlanda chiese l’aiuto dell’Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale e cominciò ad adottare una lunga serie di misure di austerità. (...)