mercoledì 29 febbraio 2012

Il Silenzio Necessario

Come ha ben scritto il parlamentare Andrea Sarubbi, non sempre il silenzio è inazione. Nella diplomazia, e soprattutto nelle trattative che hanno a che fare con ostaggi, il silenzio può essere lo sfondo necessario per poter agire con maggiore profondità. 

I tempi di una trattativa sono sempre lunghi, ma la pubblicità non aiuta e la retorica del "non dimentichiamoli" rischia di essere - appunto - retorica. Rapitori di questo tipo non sono generalmente "sordi" alle dinamiche pubbliche e percependo questo tipo di reazioni, possono vedere l'occasione di "alzare il prezzo", politico, simbolico, o in denaro che sia.

Forse un discorso analogo vale anche per la vicenda dei soldati trattenuti in India (anche se  - sia chiaro - naturalmente il caso non è minimamente paragonabile a un rapimento): l'informazione rischia di dare molti elementi che ai cittadini non sono per niente utili e che al tempo stesso disturbano le diplomazie al lavoro. 

In questi casi a una visione "astratta" della libertà di informazione va preferita una "disciplina" che porti gli operatori dei mass-media a coordinarsi fortemente con il governo in azione, al fine di arrivare alla soluzione della crisi, al più presto. Non è da escludersi, nelle trattative fra Stati, che sia lo stesso governo - in talune circostanze - a far capire agli operatori dell'informazione della eventuale necessità di pressione pubblica.

Queste situazioni non possono essere gestite con il 100% di liberalismo, per dirla con una formula facile. Prevale realmente la Ragion di Stato, che in questi casi coincide però con il portare a casa le persone, rapite o trattenute.

A volte il silenzio è buona cosa, anche per una democrazia.

Francesco Maria Mariotti


"(...)Più se ne parla – penserei, se fossi un diplomatico al lavoro su questo caso – peggio è, perché ogni attenzione mediatica sulla vicenda rafforza la posizione dei rapitori. E lo stesso direi se fossi un familiare di Rossella: quello che mi sta a cuore è la sua liberazione, non che diventi un simbolo, perché di fronte ai simboli – come ha dimostrato la vicenda del soldato israeliano Gilad Shalit, liberato dopo cinque anni di trattative che hanno coinvolto mezzo mondo – i negoziati si complicano all’ennesima potenza. L’incontro di Cagliari tra il presidente Napolitano e i familiari di Rossella testimonia che lo Stato è presente, ed è questa la cosa essenziale."
Free Rossella, di Andrea Sarubbi

martedì 28 febbraio 2012

Spesa pubblica una riforma è possibile (laStampa)


(...) Il governo Monti ha un mandato a termine e compiti urgenti e precisi. Può mettere in sicurezza il saldo fra entrate e uscite e razionalizzarle un poco entrambe. Ma il suo lavoro di emergenza può servire alle forze politiche anche per prepararsi ad affrontare una scelta strategica più di lungo termine: con un bilancio in equilibrio, quanto è bene siano grandi le entrate e le spese?

Affiora a tratti l’idea che la vera crescita si possa attuare solo con un forte ridimensionamento dello Stato, sia della spesa totale che delle imposte. Come è noto ci sono al mondo esempi differenti e non mancano i Paesi che crescono bene con settori pubblici tutt’altro che piccoli. È comunque opportuno che la questione rimanga sullo sfondo, che la si discuta con crescente consapevolezza e trasparenza.

L’opinione di chi scrive è che è sempre più difficile che un’economia cresca in modo sostenibile e sano, rispettando i valori attorno ai quali si è andata costruendo l’integrazione europea, con uno Stato economicamente «minimo». I bisogni pubblici dei tempi moderni sono immensi e crescenti. Il loro soddisfacimento è indispensabile perché le produzioni private siano competitive e la loro profittabilità non sia instabile e illusoria o, addirittura, frutto di rapine dei prepotenti. Si possono privatizzare alcune produzioni pubbliche ma occorre spendere per regolare e controllare ciò che si è privatizzato. Si devono assolutamente ridurre i tanti sprechi nella pubblica amministrazione, ma sono pronti tanti capitoli di spesa dove ridirigere le risorse risparmiate. Carceri, scuola, sanità, ricerca e patrimonio culturale (che, lungi dall’esser superfluo, aiuta a sfamarci e a crescere), difesa del territorio, che ci crolla addosso e persino ci uccide perché sempre più dilaniato dalla privatizzazione, sia formalmente legale che criminale, degli spazi pubblici. Servono molti soldi e un grande sforzo politico e amministrativo.

Più che tagliare la spesa totale occorre fissare le priorità in una lunga lista di bisogni pubblici pressanti, con grande cura e dettaglio e un buon dibattito politico.(...)
 

sabato 25 febbraio 2012

Un po' Keynes, un po' Calvino (dal Sole24Ore)


È lo Stato ora che deve fare la sua parte di pagatore affidabile. Sono in gioco 70 miliardi di mancati pagamenti ai fornitori. Se l'amministrazione pubblica – ai vari livelli – onorasse i suoi impegni, oltre a dare un doveroso segnale etico, darebbe la più forte spinta di spesa pubblica immaginabile oggi. Un po' Keynes, un po' Calvino.

Una diversità virtuosa (Mario Deaglio, la Stampa)

(...) Gli italiani non sembrano resistere con tagli «orizzontali» che toccano ogni tipo di prodotti, ma reagiscono, modellando i consumi sul reddito. Sembra così di intravedere un comportamento «attivo», quasi un riappropriarsi di facoltà di scelta, di decisioni che per vari decenni gli italiani, come i cittadini degli altri Paesi ricchi, avevano delegato di fatto ai pubblicitari. Il termine «frugalità», reintrodotto nel vocabolario americano quattro anni fa per indicare un atteggiamento responsabile rispetto ai beni, ha forse trovato la sua strada anche in Italia. Tale atteggiamento sembra far capolino anche nelle scelte lavorative, con casi recenti, da seguire con attenzione, di ritorno degli italiani verso occupazioni e mestieri fino a pochissimo tempo fa «snobbati» e lasciati agli immigrati.

L’Italia che uscirà dalla crisi - che ha probabilmente toccato il picco a gennaio e febbraio, anche per motivi meteorologici, con il freddo che limitava l’offerta degli alimentari freschi e teneva i consumatori lontani dai luoghi dell’acquisto - sarà probabilmente diversa, più responsabile, più reattiva dell’Italia che vi è entrata, quasi senza accorgersene e dopo averne negato a lungo l’esistenza. Potrà sembrare una piccola cosa, ma è proprio su questa diversità di atteggiamento che occorre costruire, se questo Paese vuole avere un futuro.

giovedì 23 febbraio 2012

Se uno Stato non è più sovrano (dal Sole 24 Ore)

Per ottenere tali garanzie, l'Europa entra nel cuore della somma potestà dello Stato, dimostrando che moneta e fisco si sono oramai distaccate dalla sfera delle prerogative esclusive della nazione. È davvero ironico che il capo del partito di estrema destra greca abbia invocato la possibilità per il suo Paese di avere di nuovo accesso ai mercati per finanziarsi, preferendo la durezza impersonale degli investitori stranieri, alla condivisione di sovranità con l'Europa. Il 77% dei cittadini greci non sembra condividere un nazionalismo estraneo alla realtà e chiede di rimanere nell'euro. di Carlo Bastasin - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/PdJ9c

lunedì 20 febbraio 2012

UN PIANO PER LA CRESCITA IN EUROPA


Ci incontriamo a Bruxelles in un momento rischioso per le economie europee: la crescita è in una fase di stallo, la disoccupazione è in aumento, i cittadini e le imprese si trovano di fronte a delle situazioni che sono le più difficili tra tutte quelle incontrate da molti anni a questa parte. Mentre le principali economie concorrenti stanno uscendo ad un ritmo costante dal buio della recente crisi mondiale, la turbolenza dei mercati finanziari e l’onere del debito rendono molto più duro il percorso in salita verso la ripresa in Europa.

L’Europa ha molti asset economici fondamentali ma la crisi che abbiamo davanti è anche una crisi di crescita. Gli sforzi che ciascuno di noi sta intraprendendo per rimettere le nostre finanze nazionali su una base sostenibile sono essenziali, senza di essi non potremo gettare le basi per una ripresa economica forte e duratura. Ma è necessario agire anche per rendere moderne le nostre economie, costruire una maggiore competitività e correggere gli squilibri macroeconomici. Dobbiamo ricostruire la fiducia, tra i cittadini, le aziende ed i mercati finanziari, nel fatto che l’Europa sarà capace di crescere in futuro in maniera forte e sostenibile e di mantenere la propria parte di prosperità globale.

Abbiamo discusso di questi argomenti l’ultima volta che ci siamo incontrati ed è giusto riaffrontarli di nuovo. Partendo dalle conclusioni che abbiamo raggiunto in precedenza, è arrivato il momento di mostrare leadership e di prendere decisioni coraggiose che possano portare i risultati che i nostri popoli esigono. Accogliamo con favore i passi che si stanno intraprendendo, sia a livello nazionale che a livello europeo, per affrontare questa sfida e siamo impazienti di concordare futuri passi concreti nella nostra prossima riunione, concentrando l’azione su otto priorità chiare per rafforzare la crescita.

Innanzitutto, dobbiamo portare il mercato comune alla successiva fase di sviluppo, rafforzando la governance e innalzando gli standard di attuazione. Il rapporto della Commissione al Consiglio Europeo di giugno dovrebbe fissare delle azioni chiare e dettagliate necessarie per migliorare l’attuazione e rafforzare l’esecuzione.(...)

In secondo luogo, dobbiamo aumentare i nostri sforzi per creare, entro il 2015, un mercato unico realmente digitale. L’economia digitale si sta espandendo rapidamente ma il livello di scambi internazionali rimane basso e la creatività è soffocata da una rete complessa di sistemi nazionali diversi nell’ambito del copyright. (...)

In terzo luogo, dobbiamo mantenere il nostro impegno di costituire, entro il 2014, un mercato interno autentico, efficace ed efficiente nel settore dell’energia. Tutti gli Stati Membri dovrebbero attuare il Terzo Pacchetto sull’Energia (Third Energy Package) in maniera completa, rapida e tenendo conto delle scadenze concordate. (...)

Quarto, dobbiamo raddoppiare il nostro impegno nei confronti dell’innovazione creando l’Area Europea della Ricerca, creando l’ambiente migliore possibile per gli imprenditori ed i creatori di innovazioni affinché essi possano commercializzare le proprie idee e creare posti di lavoro e mettendo l’innovazione spinta dalla domanda al centro della strategia dell’Europa nel campo della ricerca e dello sviluppo. (...)

Quinto, sono necessarie azioni decisive per offrire dei mercati globali aperti. Quest’anno dovremmo concludere degli accordi di libero scambio con India, Canada, i paesi dell’area orientale ed una serie di partner dell’ ASEAN. Dovremmo anche rafforzare i rapporti commerciali con i paesi dell’area sud. Si dovrebbe dare nuovo impeto ai negoziati commerciali con partner strategici come il Mercosur ed il Giappone, con i negoziati con il Giappone avviati prima dell’estate, a condizione che si facciano progressi circa la portata e l’ambizione di un accordo di libero scambio. I contratti attualmente sul tavolo potrebbero aggiungere altri €90 miliardi al PIL dell’Unione.

Ma dobbiamo andare ancora oltre. Dobbiamo dare un’ulteriore spinta politica all’approfondimento dell’integrazione economica con gli Stati Uniti, prendendo in esame tutte le opzioni compresa quella di un accordo di libero scambio, dobbiamo cercare di accrescere le relazioni commerciali e gli investimenti con la Russia, a seguito del suo ingresso nel WTO e dobbiamo avviare una valutazione strategica dei nostri rapporti commerciali e nel campo degli investimenti con la Cina, con l’obiettivo di rafforzare i nostri legami commerciali e consolidare l’impegno di realizzare degli scambi basati sulle regole. (...)

Sesto, dobbiamo sostenere e rendere più ambizioso il nostro programma di ridurre il peso della normative europea. (...)

Settimo, dobbiamo agire a livello nazionale e, rispettando le competenze nazionali, a livello collettivo, per promuovere un mercato del lavoro ben funzionante che offra opportunità di occupazione e, cosa fondamentale, favorisca livelli maggiori di partecipazione al mercato del lavoro da parte di giovani, donne e lavoratori più anziani. Si dovrebbe prestare particolare attenzione anche ai gruppi vulnerabili che sono stati fuori dal mercato del lavoro per lunghi periodi. (...)

Ed infine, dobbiamo assumere delle iniziative per costruire un settore dei servizi finanziari che sia solido, dinamico e competitivo, che crei posti di lavoro e offra sostegno vitale a cittadini ed imprese. Dovrebbero essere ridotte le garanzie implicite che consentono sempre di salvare le banche e che distorcono il mercato unico. Le banche, e non i contribuenti, dovrebbero farsi carico dei costi dei rischi che assumono. (...)

Ciascuno di noi riconosce che il piano che proponiamo richiede leadership e decisioni politiche difficili ma la posta in gioco è alta e le azioni in molte di queste aree avrebbero dovuto essere intraprese da tempo. Con iniziative coraggiose ed efficienti ed una forte volontà politica potremo recuperare il dinamismo dell’Europa riportare le nostre economie sulla strada della ripresa. Sollecitiamo voi ed il Consiglio Europeo e dare risposta all’appello dei nostri popoli a realizzare delle riforme e a contribuire a ristabilire la loro fiducia nella capacità dell’Europa di offrire una crescita forte e sostenibile.

Inviamo questa lettera in copia ai colleghi del Consiglio Europeo

David Cameron, Primo Ministro del Regno Unito
Mark Rutte, Primo Ministro dei Paesi Bassi
Mario Monti, Primo Ministro d’Italia
Andrus Ansip, Primo Ministro Dell’Estonia
Valdis Dombrovskis, Primo Ministro della Lettonia
Jyrki Katainen, Primo Ministro della Finlandia
Enda Kenny, Taoiseach, Repubblica d’Irlanda
Petr Nečas, Primo Ministro della Repubblica Ceca
Iveta Radičová, Primo Ministro della Slovacchia
Mariano Rajoy, Primo Ministro di Spagna
Fredrik Reinfeldt, Primo Ministro di Svezia
Donald Tusk, Primo Ministro della Polonia


sabato 18 febbraio 2012

Prediche inutili


Il governo continui nella sua ottima azione di risanamento e di riforma del paese; per tutto il Paese - uomini e donne - c'è bisogno di creare le condizioni per la crescita, comprendendo in questo rimuovere tutti gli ostacoli che limitano di fatto l'eguaglianza, come da dettato costituzionale.

Le donne italiane non hanno bisogno di un governo che le protegga dalla brutta tv: sono professioniste, studentesse, politiche molto capaci e raggiungono spesso traguardi importanti, anche senza "quote" o "protezioni" aggiuntive (che rischiano sempre di creare condizioni di "concorrenza sleale").

(Certo, al contrario di quanto dicono alcune, non hanno inventato - perché non può esistere, in realtà - una "grammatica di genere" diversa da quella maschile, sul potere, sull'economia e sulle istituzioni). 

I cittadini  e le cittadine decideranno da soli nelle loro case cosa fare nel tempo libero, non è affare del governo.

I Ministri facciano il loro lavoro, che non è predicare dal pulpito.

Francesco Maria Mariotti

ps: eventualmente fra i compiti di questo governo c'è quello  - urgente - di riformare la RAI, ma questo è un altro discorso....

venerdì 17 febbraio 2012

Libia, Un Anno Dopo

(...) Un vero e proprio esercito nazionale non esiste e le armi in circolazione sono ancora tantissime. Nella sola Misurata un ricercatore di Human Rights Watch ha individuato ben 250 diverse brigate. Sono loro a mantenere l’ordine nelle strade, ma sono sempre loro, paradossalmente, a costituire la minaccia maggiore per la sicurezza nazionale. La brigata di Zintan, protagonista della conquista di Tripoli e dell’arresto di Saif al Islam Gheddafi, controlla l’aeroporto della capitale e non ha intenzione di cedere la posizione. I conflitti tra milizie non sono rari. I combattenti di Misurata, ad esempio, si sono scontrati con gli uomini di Bengasi e della stessa Zintan, che proteggevano i rifugiati di Tawarga, colpevoli di non avere abbracciato la causa rivoluzionaria.

I rapporti delle organizzazioni per i diritti umani sono impietosi. Secondo Amnesty International, dodici detenuti in mano alle brigate sono morti in seguito alle torture, compreso l’ex ambasciatore a Parigi Omar Brebesh. Le carceri libiche contengono più di ottomila persone, molte di loro sono state lasciate alla mercé delle violenze indiscriminate delle milizie. Le vendette contro i gheddafiani, o i sospettati di gheddafismo, come i prigionieri dei paesi subsahariani, sono all’ordine del giorno. Saif al Islam è ancora nelle mani dei misuratini e ci sono forti dubbi sugli standard giuridici del processo che lo vedrà protagonista.

La legge della forza prevale sullo stato di diritto, le fedeltà locali su quella nazionale.
Il ruolo dei clan è motivo di dibattito. Gheddafi era stato abile ad assicurarsi l’appoggio di alcune tribù, in primo luogo i Warfalla, ma anche i Magarha, impedendo al tempo stesso che qualcuna di loro acquisisse troppo potere. Alcuni analisti ritengono che oggi la maggior parte dei clan abbia perso credito e non costituisca più una minaccia.
Durante la guerra gli stessi Warfalla si sono divisi: alcuni sono rimasti col Colonnello, altri hanno guidato la rivolta, come l’ex premier del Cnt, Mahmoud Jibril. Il mese scorso a Bani Walid, roccaforte del gheddafismo, c’è stato un duro scontro armato tra i Warfalla e gli uomini del Cnt. Ma la cacciata dei tripolini e l’instaurazione di un nuovo consiglio è sembrata più una lotta per il riconoscimento di un potere locale che il tentativo di far tornare indietro l’orologio della storia.(...)


Leggi anche:

In Libia un anno dopo la rivolta c’è un nuovo Gheddafi
Arturo Varvelli*
Ad un anno dal giorno della Collera, pochi in Libia vedono di buon occhio il suo leader Jalil. L’unica legittimità del Cnt appare derivare dal pronto e forte appoggio dato da occidentali e mondo arabo, Francia e Qatar su tutti. Intanto si avvicinano le elezioni di giugno. Molti le domande: si voterà regolarmente? Che fine farà il Cnt? Intanto si susseguono gli scontri con morti, soprattutto a Tripoli e in Tripolitania, e gli abusi – denunciati dalle ong – dei vincitori sui vinti.
http://www.linkiesta.it/libia-cnt-elezioni 

mercoledì 15 febbraio 2012

Riconciliare gli Europei con l'Europa (Monti - Goulard)

(...) Sono le disfunzioni delle democrazie nazionali a contribuire ampiamente ai disordini attuali: in virtù del trattato di Maastricht, i governi dell`eurozona continuano ad assumersi il carico delle politiche economiche _e sociali e devono sorvegliarsi a vicenda. Abbiamo visto il risultato. Violando le promesse di rigore di bilancio o rinviando le riforme indispensabili, parecchi responsabili nazionali non solo hanno ingannato ì propri partner, ma hanno anche leso i propri popoli, in particolare i giovani e le generazioni future. 


La tirannia del breve termine, l`eccesso di indebitamento, pubblico o privato, il clientelismo hanno portato a un disastro che le popolazioni pagano caro. Nessuno può più sostenere che la democrazia nazionale funzioni in modo soddisfacente e che invece «l`Europa» non funzioni.


AI tempo stesso, la crisi ha accentuato il bisogno di legittimazione delle decisioni europee. La disoccupazione crea enormi danni, la precarietà e le ineguaglianze aumentano.


Troppi europei hanno la sensazione di trovarsi in un tunnel. Sono pronti a fare sforzi, se questi sono equamente ripartiti. Vogliono soprattutto capire chi decide e vogliono avere un peso sulle scelte per ritrovare dignità e speranza.


Siamo convinti che, per uscire durevolmente dalla crisi, dobbiamo ripensare la democrazia a tutti i livelli, europeo e nazionale, senza contrapporli. E giunto il momento di abbandonare le dispute istituzionali e le recriminazioni incrociate che nuocciono al bene comune. Un disarmo generale si impone al fine di riconciliare gli europei con l`Europa.(...)

Anche su certe carenze dell`azione europea, che minacciano di diventare veri e propri «buchi neri», non c`è un dibattito sufficiente: sulla necessità, per esempio, di riattivare la crescita senza nuocere alla disciplina, o ancora sulle possibilità di preservare l`equità fiscale quando, nel mercato unico, il capitale è mobile e il lavoro lo è molto meno.

La mancanza di una discussione aperta accredita anche l`impressione di un «diktat» degli Stati più potenti: Ciò è pericoloso.- Una delle virtù della costruzione europea, dal 1950, e la ragione profonda del suo successo nel preservare la pace, è quella di unire su base volontaria, nel mutuo rispetto. La stabilità non può essere imposta con la forza.(...)

L`esigenza di democrazia, di partecipazione, di trasparenza è irresistibile. A termine, riforme di grande ampiezza saranno necessarie per fortificare la dimensione parlamentare dell`Unione Europea. Come a livello nazionale, la posta in gioco è delicata, poiché consiste nell`inventare una democrazia più esigente, che eviti la demagogia e la veduta corta. Il processo sarà lento, ma un contributo può già darlo un dialogo intenso e fiducioso fra istituzioni, al di là delle frontiere.

Il testo integrale apparso sul Corriere della Seraanche in pdf

lunedì 13 febbraio 2012

Cosa ci dice la rabbia dei greci (da laStampa)


Osserviamo con attenzione la Grecia, perché può insegnarci molto. I leader dei due principali partiti politici sono coscienti, d’accordo con il primo ministro tecnico, che altri sacrifici sono inevitabili. Ma la gente non ne può più, perché i sacrifici finora sono stati distribuiti male, e segni di speranza non se ne vedono. Nei nostri tempi, nessuna democrazia era mai stata sottoposta a uno stress simile a quelli da cui nacquero le dittature degli Anni 30.


Vediamo un sistema politico e amministrativo corrotto avvitarsi su sé stesso. Il medico-sindacalista ateniese intervistato ieri da questo giornale sosteneva che i tagli di spesa fanno mancare le medicine negli ospedali. Fino a ieri, peraltro, risultava come prassi corrente rivendere all’estero, dove i prezzi sono più alti, i medicinali acquistati dal sistema sanitario pubblico greco. Non a caso la spesa pro capite per farmaci l’anno scorso è stata oltre il 15% superiore rispetto all’Italia, benché il reddito sia alquanto più basso.

In questo caso come in altri, la corruzione che pervade il sistema scarica tutto il peso dei sacrifici sui più deboli, ovvero su chi non fa parte di una clientela o di una categoria protetta.

Peggio ancora, l’incapacità di toccare i privilegi blocca ogni tentativo di rivitalizzare l’economia. Ai deputati risulta più facile aumentare le tasse a tutti che pestare i piedi a gruppi di interesse compatti. Dopodiché una amministrazione corrotta riesce a riscuotere le maggiori tasse solo dai soliti noti, mentre i furbi se la cavano (portare l’aliquota Iva dal 19 al 23% non ne ha accresciuto il gettito).

Il sindacato dei poliziotti ellenici vorrebbe mettere in galera gli inviati della «troika» (Commissione europea, Bce, Fondo monetario). Eppure a tormentare la «troika» è assai più la mancanza di riforme strutturali. Ad esempio, poco o nulla si è fatto in materia di privatizzazioni, perché i politici non volevano rinunciare a strumenti di potere. E perché mai un Paese in queste condizioni è pronto a tagliare le spese militari solo se «non pregiudicano le capacità difensive»?

Dall’altro lato dello Ionio arrivano a punte estreme fenomeni che ben conosciamo. (...)


Cosa ci dice la rabbia dei greci (di Stefano Lepri, da laStampa)


Leggi anche Boldrin su Linkiesta:

(...) Un paese dove, sino all’altro giorno, le figlie nubili dei dipendenti pubblici ottenevano uno stipendio dal governo e i barbieri vanno in pensione, pubblica e sussidiata, a 50 anni perché maneggiano sostanze pericolose! Impressiona la continua falsificazione della situazione greca sulla stampa italiana “indipendente” mentre persino Claudi Perez, uno dei giornalisti economici spagnoli più quotati ma anche più dichiaratamente schierati a sinistra e vicino al movimento de los indignados, riporta su El Pais che i partners europei si sono stancati oramai delle continue bugie e dei subdoli trucchi dei politici greci e che «Hasta ahora, la métrica del rescate griego ha sido crédito a cambio de promesas».
Perché qui sta il punto: per qualche ragione misteriosa gli italiani sono convinti che in Grecia siano lacrime e sangue, in termini di tagli ed austerità, da decine di mesi, mentre son quasi tutte chiacchere. Come lo stesso Claudi riporta, delle sbandierate multe per evasione fiscale pari a 8,6 miliardi di euro emesse durante gli ultimi due anni, il governo greco è riuscito a farsi pagare sino ad ora ... 80 milioni circa!
L’Italia è di fatto l’unico paese europeo in cui l’opinione pubblica vive nella credenza che la Grecia sia una innocente vittima dei caimani finanziari internazionali per i quali i Merkelzy lavorano (un certo, malinteso, nazionalismo suggerisce ai più di non nominare il nome di Mario Draghi invano ...) e che la Grecia risolverebbe i propri problemi facendo default ed andandosene dall’euro. Vogliano gli dei dell’Olimpo che questo mai succeda e ringrazino Merkel per averglielo impedito.(...)

giovedì 9 febbraio 2012

Un Mondo In Attesa Di Nuove Regole (da FULM.org)


Nella confusione di un mondo che va alla ricerca di nuovi equilibri geopolitici e geoeconomici, il Fondo Monetario Internazionale sembra l'unica istituzione che riesce a tenere ferma la barra del timone in direzione dello sviluppo, considerato indispensabile quanto la stabilità. Infatti, gli Stati Uniti danno preferenza allo sviluppo rispetto alla stabilità creando dollari in grande quantità e mantenendo, insieme al Regno Unito, il disavanzo di bilancio pubblico più elevato dopo Grecia ed Egitto. La Cina ha una politica simile, ma mantiene lo yuan-renminbi strutturalmente sottovalutato, discostandosi dalla filosofia del cambio che ha ispirato il FMI. L'Unione Europea assegna priorità assoluta alla stabilità fiscale e, per ora a chiacchiere, invoca la crescita, ma lascia il cambio dell'euro alla mercé del mercato. Questa è una vera coltura di crisi dagli sbocchi imprevedibili.

Che il FMI la pensi così e prema sull'Unione Europea è certamente merito dell'elegante avvocatessa francese che lo guida, Madame Lagarde, ma è anche l'erede della concezione di come funziona il sistema economico portata avanti da Lord Keynes. Nel 1971 gli Stati Uniti hanno demolito l'Accordo del 1944 (Bretton Woods, ndr) senza preoccuparsi di costruirne uno nuovo, convinti che il mercato fosse capace di curare ogni male, a cominciare da quelli che esso stesso crea. Il «liberi tutti» ha funzionato fino alla crisi dei mutui subprime smerciati come titoli derivati e il mondo ha riscoperto che moneta e finanza richiedono una continua vigilanza delle autorità. Nel settore reale, il mercato, se competitivo e globale, ha più capacità di autoregolarsi ma, se la politica non interviene, non sa raggiungere la piena occupazione.(...)

Passi Impressionanti


(...) Partiamo dalla crisi dell’Eurozona. In più occasioni lei ha espresso la necessità di un’espansione dei «firewall finanziari per l’Europa». Ritiene che l’attuale cooperazione fra i governi di Germania, Francia e Italia vada nella direzione giusta? 
«La situazione finanziaria in Europa sarà al centro dell’agenda con il primo ministro Monti nell’Ufficio Ovale. Come ho detto durante la crisi, credo che l’Europa abbia la capacità economica e finanziaria per superare questa sfida. Durante gli ultimi due anni, l’Europa ha compiuto un certo numero di passi difficili e cruciali per affrontare la crisi che cresceva. In Italia e in Europa i cittadini stanno compiendo sacrifici dolorosi.
Sotto la leadership del primo ministro Monti, l’Italia sta ora adottando passi impressionanti per modernizzare la sua economia, ridurre il proprio deficit attraverso una combinazione di misure su entrate e spese, riposizionando la nazione sul cammino verso la crescita. Più in generale i governi europei si sono uniti nel riformare l’architettura dell’Unione europea. Una delle lezioni che gli Stati Uniti hanno appreso durante la nostra recente crisi finanziaria è stata l’importanza di dimostrare ai nostri cittadini, alle nostre imprese, e ai mercati finanziari che eravamo impegnati a fare ciò che serviva per risolverla. Questo è il motivo perché abbiamo chiesto con urgenza ai nostri partner europei di erigere abbastanza firewall finanziari per evitare che la crisi si diffondesse. Sono d’accordo con quanto il primo ministro Monti ha detto: se l’Europa mette in atto firewall sufficientemente grandi si riduce la possibilità di doverli usare. Ciò che serve adesso è che tutti i governi europei dimostrino il loro impegno totale per il futuro dell’integrazione economica in Europa».(...)

I Primi Cento Giorni di Draghi (dal Sole 24 Ore)

Draghi è partito con il piede giusto e, com'è nel suo stile, con poche parole e molti fatti. A poche ore dall'insediamento, ha approvato un taglio dei tassi d'interesse a sorpresa e ricompattato il consiglio, profondamente spaccato negli ultimi tempi della presidenza di Jean-Claude Trichet. Il mese dopo, altro taglio, anche se non unanime. La ripetizione del vangelo antinflazionistico della Bce, ma anche le sottolineature sulla necessità di far ripartire la crescita. Poi l'annuncio della decisione più importante di questo primo scorcio di presidenza: la fornitura di liquidità alle banche per tre anni. dal nostro corrispondente Alessandro Merli - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/lMrLt

mercoledì 1 febbraio 2012

Eresie ed Esorcismi (da FULM.org - recensione di un testo di Paolo Savona)


(...)Perché nazionalizzare la produzione di energia elettrica in quelle modalità è stata un eresia? Savona lo spiega dicendo che “Il risultato fu, dal lato del capitale, un’ingente fuga di risorse finanziarie, il crollo dei valori di Borsa e la caduta degli investimenti; e, dal lato del lavoro, il raggiungimento di un riconoscimento dei suoi diritti fuori tempo e fuori misura: sfociò infatti in un innalzamento del suo costo per unità di prodotto quando i margini di profitto erano già calanti”. In altre parole, quella modalità della politica economica fu un eresia perché generò un doppio effetto negativo: il capitalismo perdeva risorse finanziarie che espatriavano mentre i lavoratori guadagnavano reddito e diritti insostenibili nel medio termine, perdendo essi stessi la possibilità di avere un miglioramento duraturo delle proprie condizioni.

Perdeva la società italiana, insomma , e si avviava la spirale che avrebbe condotto alla fine del miracolo economico ed al tracollo della prima Repubblica sotto la pressione di “Mani pulite”. Meglio i liberisti, come Einaudi e De Gasperi, che traghettarono dalla sconfitta militare al miracolo economico il paese, che il mancato appuntamento con politiche liberali in cui si risolse il centrosinistra e la sua ambizione per il cambiamento. In ogni conflitto potenziale ci sono tre esiti: ottenere un vantaggio per entrambi i contendenti; vincere sottraendo risorse all’altro; perdere entrambi.

L’Italia, con le sue molte eresie si è collocata sempre sul terzo esito. “Il problema della crisi dell’Italia sta tutto qui – scrive Savona alla pagina 44 del suo libro – grandi dissertazioni su ciò che si deve fare, quando la frittata è fatta. Mai quando le uova sono ancora intatte”. Una entropia crescente ed inarrestabile, si direbbe nel lessico della termodinamica. Così facendo abbiamo liquidato a prezzi stracciati istituzioni, ormai malandate, come le partecipazioni statali e l’IRI: mentre ne avremmo avuto bisogno nel gioco della geopolitica, essendo quelle istituzioni – nate negli anni di Beneduce e Menichella – potenzialmente fondi sovrani, come quelli che oggi supportano la crescita dei paesi emergenti sulla scena del mercato globale. Il lettore potrà attraversare la relazione tra eresie ed esorcismi ed arrivare alle quattro scelte giuste leggendo un libro di cento pagine: essenziale e molto diretto.
Le scelte giuste sono principi di riferimento, come abbiamo già detto.

La creazione di una Camera Alta, un governo dei saggi, sulla intuizione di Hayek. Un ritorno all’ordoliberismo della Scuola di Friburgo, facendo agire sia la convivenza civile che la concorrenza globale, insieme, come le lame delle forbici, per fare sviluppare un regime di equità. Chiedere ed ottenere un accordo sulla riforma del Fondo Monetario Internazionale e sul WTO come pilastri, entrambi necessari, dell’equilibrio economico internazionale. Chiedere ed ottenere la trasformazione dell’Europa in una entità politica; la nascita di una politica fiscale comune; la trasformazione della BCE in una banca centrale, che sia anche un lender of last resort; la piena liberalizzazione, per persone, capitali, beni e servizi, del mercato europeo. In questo modo avremo una eurozona fondata e governata da un patto democratico tra i paesi membri dell’Unione Europea anche se non presenta, quella eurozona, i tratti di un’area valutaria ottimale.(...)

Il Male Oscuro dell'Eurozona (Martin Wolf sul Sole24Ore)



La prospettiva incarnata nel patto di bilancio - a sua volta un tentativo di rilanciare il fallimentare patto di stabilità e crescita - difetta dell'indispensabile presa di coscienza che la produzione di uno Stato membro dipende dalla domanda di altri Stati membri, del ruolo giocato dagli squilibri nella bilancia dei pagamenti e del fatto che la competitività è sempre relativa: se l'Italia e la Spagna vogliono diventare più competitive all'interno dell'area euro, la Germania o l'Olanda dovranno diventarlo meno. Inoltre, se il settore privato è in surplus finanziario strutturale per ridurre l'indebitamento, le autorità possono eliminare il deficit di bilancio strutturale se, e solo se, la nazione è in attivo strutturale nel saldo con l'estero.
di Martin Wolf - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/21lpE