lunedì 6 aprile 2015

Un Ricordo di Giovanni Berlinguer (G.Cuperlo)

Sono stato al Campidoglio dove hanno allestito la camera ardente per Giovanni Berlinguer. Sarà aperta anche domani e i funerali si terranno mercoledì mattina all'università di Roma. Ho diversi ricordi, sparsi nel tempo, di Giovanni e della sua umanità. Se posso condividerne uno con voi è questo. Nell'autunno dell’89 andammo assieme a Praga nei giorni del rientro in città di Alexander Dubcek. Partimmo da Roma e dopo uno scalo a Vienna ci ritrovammo a manifestare assieme a centinaia di migliaia di persone mentre dal palco Dubcek riprendeva la parola davanti al suo popolo molti anni dopo la "Primavera". La sera fummo accompagnati in una modesta casa popolare della periferia dove incontrammo Dubcek e alcuni dei suoi storici collaboratori. Fu una serata intensa, carica di ricordi, emozioni, e dove si scaricò tutta la tensione di un giorno atteso da almeno due decenni. Davanti al nostro albergo c'era un chiosco che vendeva panini con salsiccia. C'era una lunga fila di praghesi in attesa e Giovanni propose di unirci a loro. Anzi, decise che ci si doveva mettere in coda. Faceva molto freddo ma quella fila e quel panino – credetemi – valevano quanto un pranzo di gala.

(dalla pagina Facebook di Gianni Cuperlo)

sabato 4 aprile 2015

Sul Nucleare Iraniano (rassegna stampa)

In tutti i grandi negoziati fermare l’orologio e continuare a trattare equivale a escludere la possibilità di un fallimento. Troppo gravi sarebbero le ricadute politiche per chi, volendo fare la storia, scopre invece di doversi arrendere alla sconfitta. Ma escludere il fallimento non significa garantire il successo, e il confronto nucleare di Losanna tra l’Iran e le potenze occidentali fiancheggiate da Russia e Cina ha sfiorato più volte il disastro prima di riuscire, ieri sera, a produrre un accordo-quadro che nelle limitazioni al programma nucleare di Teheran va al di là delle attese e incoraggia le parti a negoziare ancora per giungere all’intesa definitiva entro la fine di giugno.

Letta congiuntamente dal ministro degli Esteri iraniano Zarif e dalla responsabile europea per la Politica estera Mogherini (che nella circostanza rappresentava anche Usa, Russia e Cina), la dichiarazione messa a punto dopo otto giorni e sette notti di lavoro nasce da uno scambio di concessioni tra le due parti del tavolo: l’Iran accetta la volontà dei suoi interlocutori di impedirgli l’accesso all’armamento nucleare per un lungo periodo di tempo, in contropartita di una revoca sollecita e poco condizionata delle sanzioni economiche decise contro Teheran dagli Usa, dall’Europa e dall’Onu.​(...)

Ma se Obama e il suo negoziatore Kerry parlano di un «grande giorno», un segnale di necessaria cautela giunge dalle parole dei delegati iraniani che ridimensionano di molto il contenuto effettivo delle loro concessioni. Anche all’ora dei sorrisi sono i fronti interni dei due protagonisti del negoziato a tenere banco. Il capo della Casa Bianca aveva bisogno di fatti concreti, di concessioni precise da parte dell’Iran per convincere il Congresso (che riapre tra dodici giorni) ad aspettare il nuovo round negoziale prima di adottare eventuali nuove sanzioni contro Teheran. E dall’altra parte, poteva Zarif superare le linee rosse indicate più volte dalla «Guida suprema» Khamenei in tema di sovranità e di diritto al nucleare (pacifico, afferma Teheran)? E poteva il presidente Rohani inviare a Losanna istruzioni ancor più flessibili, senza sapere se l’ambiguo Khamenei e dietro di lui i militari, i nazionalisti, gli avversari personali ne avrebbero approfittato per accusarlo di tradimento?

Questi condizionamenti non spariranno nei prossimi mesi. L’accordo preliminare di Losanna dovrà dimostrare davvero, davanti al Congresso e davanti a Khamenei, di essere stato l’annuncio di una svolta storica che cambierebbe il mondo. Dovrà dimostrare di poter garantire la sicurezza di Israele, dando torto alle preoccupazioni di Netanyahu che fino a prova contraria e definitiva conservano qualche fondamento. Dovrà dimostrare che l’opzione militare, evocata come possibilità in caso di rottura delle trattative, è destinata anch’essa all’archivio. E dovrà evitare, con una iniziativa politica dell’Occidente che deve partire subito, il diffondersi tra le monarchie del Golfo e oltre di una generica paura dell’Iran sciita foriera di nuove guerre e di nuovo terrore. Soltanto così Losanna oggi e l’accordo di fine giugno fra tre mesi risponderanno davvero all’entusiasmo del popolo iraniano, soprattutto a quello dei giovani che sperano in più benessere e più libertà. 



Finalmente il tanto atteso accordo sul nucleare iraniano è arrivato. Ci sono voluti otto giorni, con due di estensione rispetto ai tempi previsti, perché i P5+1, i sei paesi del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite insieme alla Germania, dessero il via libera ad un’intesa definitiva che metta fine a dodici anni di contenzioso nucleare. Una pagina storica per la storia del Medio oriente: è stato subito il commento del segretario di Stato John Kerry e del ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama ha parlato di un mondo più sicuro in seguito all’accordo e di «verifiche senza precedenti» per impedire qualsiasi deviazione militare del programma nucleare a scopo civile.

I termini dell’accordo
Sebbene il testo finale sarà firmato soltanto il prossimo 30 giugno e solo ora si passa alla stesura dell’intesa, di fatto il vero passo avanti è stato compiuto. La bozza annunciata a Losanna ammette di fatto che l’Iran prosegua nel suo programma nucleare a scopo civile. Non solo, prevede la cancellazione di tutte le sanzioni internazionali, contestualmente al rispetto dei requisiti dell’accordo annunciato in una conferenza congiunta dall’Alto rappresentante per la politica dell’Unione europea Federica Mogherini e dal suo omologo iraniano, Javad Zarif.


Con l’accordo-quadro raggiunto a Losanna, l’Iran è più vicino o più lontano dall’atomica?
Gli Stati Uniti ritengono che l’Iran sia più lontano dall’atomica. Se ora il «break-out time», il tempo per raggiungerla, è stimato in 2-3 mesi grazie alle intese diventa di 12 mesi. E le intese resteranno in vigore per 10 anni, con successivi 5 anni di obblighi per Teheran. Usa e Ue ritengono di aver bloccato la corsa dell’Iran all’atomica soprattutto perché l’impianto al plutonio di Arak viene bloccato, il carburante usato spostato all’estero e l’arricchimento dell’uranio limitato a 5060 centrifughe modello IR-1, della prima generazione, nell’impianto di Natanz. Ma a tal fine saranno di vitale importanza le verifiche dell’Agenzia atomica Onu, i cui ispettori per i prossimi 15 anni dovranno certificare il rispetto degli impegni sottoscritti.

Chi vince e chi perde nel negoziato fra l’Iran e il Gruppo 5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna più Germania)?
Vincono Obama e Rohani, i leader che più hanno voluto l’accordo. Il presidente Usa perché convinto che il dialogo con i nemici rafforza la leadership americana nel mondo e, in questo caso, disinnesca la minaccia atomica di Teheran. Il presidente iraniano perché vede riconosciuto il diritto all’arricchimento dell’uranio e ha la possibilità di far ripartire l’economia e gli investimenti grazie alla progressiva riduzione delle sanzioni. Perdono Israele, Arabia Saudita, Egitto e gli altri Paesi sunniti protagonisti di forti pressioni su Usa e Ue per evitare un’intesa che ritengono pericolosa per la propria sicurezza nazionale. Anche la Russia esce indebolita perché il dialogo fra Usa e Iran che ora inizia consegna nuove opzioni a Obama, riducendo gli spazi per Mosca».

Governare E' Più Difficile (Dario Di Vico, Corriere)

(...) Tra i tanti fattori che influenzano l’opinione pubblica i sondaggisti dicono che ce ne sono due prevalenti: l’andamento delle tasse e le dinamiche del mercato del lavoro. Proprio osservando entrambi questi indicatori gli italiani ne ricavano una sensazione pessimistica e il caso ha voluto che le ultime due rilevazioni dell’Istat abbiano finito per confermarla, quella sul tasso di disoccupazione di febbraio 2015 diffusa nei giorni scorsi e quella sulla pressione fiscale 2014 emessa ieri. In entrambe le occasioni il dato Istat avalla lo scetticismo degli italiani e in qualche modo smentisce l’ottimismo ostentato dal governo, come nel caso del ministro Giuliano Poletti che aveva parlato di un milione di posti di lavoro in arrivo il giorno prima dei dati negativi di febbraio. L a scaramanzia, se non la conoscenza dei fatti, dovrebbe consigliare più prudenza e comunque è chiaro che indulgere a messaggi eccessivamente «rotondi» non favorisce, in questa fase, il rapporto con i cittadini.
 
In particolare, per quanto riguarda il mercato del lavoro, il governo dovrebbe sapere che gli effetti del combinato disposto tra ripresa e Jobs act non saranno immediati: Pietro Nenni non trovò mai la stanza dei bottoni semplicemente perché non esiste e comunque l’economia ha sue dinamiche che non sono riconducibili al puro comando politico. (...)
 
Il governo replica che gli 80 euro non vengono contabilizzati come taglio delle tasse, bensì come spesa sociale (e si spiega così il dato sull’aumento delle uscite per +0,8%), ma la sensazione che resta è una: tutta quell’operazione ha sicuramente dato a Renzi un dividendo politico (alle Europee) ma non ha prodotto lo stesso esito in campo economico. È mancata la capacità di gestirla in maniera fruttuosa, si è pensato più a cavalcare l’elemento politico-propagandistico che a curare la trasmissione di quel taglio ai consumi e all’economia reale. Governare è più difficile che tener botta a un intervistatore.