venerdì 11 settembre 2015

Salvare Assad? (rassegna stampa)

Di seguito un ottimo Alberto Negri, e altri interessanti articoli sulla difficile questione siriana, che l'arrivo di profughi ha riproposto al centro dell'agenda politica europea. 

"Salvare" Assad è il male minore, di fronte all'avanzata del Califfato? Può darsi, ma in ogni caso qualunque ipotesi di "soluzione" deve mettere nel conto un lungo periodo di gestazione, e un alto tasso di contraddittorietà e precarietà. 

Già essere consapevoli dei tempi non brevi che sono richiesti da questo scenario (come anche da quello libico) sarebbe un primo passo verso un'azione più incisiva.

Francesco Maria Mariotti

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Nessuno ama Bashar Assad, neanche i russi e neppure gli iraniani: ma oggi appare il male minore, unica alternativa alla vittoria dei jihadisti. Non per questo Mosca, rafforzando il suo sostegno militare a Damasco, intende far esplodere la terza guerra mondiale, come sembrava sfogliando ieri le prime pagine di alcuni giornali. Anzi la Russia, insieme all’Iran sciita, ha intuito che Assad non può vincere la guerra, e che serve trovare un compromesso per la transizione. Questo era il senso dell’offerta del Cremlino di costituire un coalizione internazionale contro lo Stato Islamico: ma è stata sdegnosamente respinta, come se qui dalle nostre parti avessero la soluzione in tasca. (...)
Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia continuano a sostenere che Assad se ne deve andare e allo stesso tempo dichiarano che vogliono colpire i jihadisti dello Stato Islamico. Ma è evidente che non si può combattere il Califfato e allo stesso tempo il suo avversario. A meno che Londra e Parigi non intendano comportarsi come la Turchia di Erdogan che con il pretesto della guerra al Califfato bombarda sistematicamente dei curdi, i più strenui nemici dei jihadisti. La comunità internazionale sembra colpita da una sorta di sdoppiamento della personalità che determina comportamenti fortemente contraddittori di fronte all’Isis e a quanto accade nel Mediterraneo. (...)
È questo uno dei motivi chiave perché le iniziative militari anti-Isis hanno avuto scarso successo: alla guerra degli occidentali manca l’obiettivo politico. François Hollande afferma che Assad se ne deve andare ma il presidente francese non ha la minima idea di chi mettere al suo posto, a meno di non volere riciclare i jihadisti che vuole combattere e consegnargli la Siria. Così come non si sapeva con chi sostituire Saddam nel 2003 e Gheddafi nel 2011. L’impressione è che gli Stati e l’Occidente non siano ancora usciti dalla macchina infernale delle guerre senza senso innescata dagli attentati dell’11 settembre 2001: l’anniversario di oggi dovrebbe indurci a qualche riflessione.

di Alberto Negri - Il Sole 24 Ore - leggi su La guerra all’Isis non sarà la terza guerra mondiale

(...) Cosa fare, allora? Basta leggere le dichiarazioni del presidente francese Hollande per capire che si pensa a intensificare l’intervento armato. Quello che non è chiaro è come farla finita con Assad e come affrontare l’Isis. Il drammatico bilancio degli interventi internazionali in Afghanistan nel 2001 e in Iraq nel 2003 sono sotto gli occhi di tutti. Isis stesso è un problema che nasce tra le fila degli ex dirigenti del regime di Saddam. L’intervento a supporto dell’insurrezione in Libia, ha lasciato dietro di sé una devastante guerra per bande. In tutti e tre i casi citati, non si è mai lavorato a un reale progetto post-bellico e il rischio che si corre adesso è che nella corsa alla guerra, ancora una volta, si perda di vista l’obiettivo: rendere quella regione del mondo un posto sicuro. Restando lucidi, per non farsi travolgere dalla necessità di accorpare coalizioni in fretta e furia, magari pagando cambiali a paesi come la Turchia e l’Arabia Saudita che profittano del momento per regolare i loro conti, rispettivamente con i curdi e con gli insorti filo iraniani in Yemen.
La chiave è mettere Assad fuori dalla storia, arrivando a un accordo con i suoi alleati. Senza Iran e Hezbollah, Damasco è finita. L’accordo sul nucleare tra Washington e Teheran potrebbe essere davvero il punto di svolta di questa crisi. Prima di concludere, deve essere preteso che l’Iran giochi un ruolo ‘trasparente’ nel conflitto siriano, per lavorare a una vera exit strategy che deve iniziare – ad esempio – dal fermare l’aviazione del regime e le sue criminali barrel bomb. Sostenendo un nuovo governo a Damasco, nato dalla condivisione di tutte le anime dell’insurrezione e della società civile siriana, e non pretendendo di sceglierlo a Washington o a Bruxelles, lavorando allo stesso tempo sulla situazione in Iraq, con l’elemento curdo che – piaccia o no al presidente turco Erdogan – ha preso un ruolo importante, affrontare tutti assieme le colonne di Isis.
Che sono molto meno imbattibili di quello che si vuole raccontare. Perché iniziare subito un’operazione razionale di intervento sulle fonti di finanziamento del gruppo darebbe risultati immediati. Almeno quanto aprire un tavolo di confronto ad alto livello e transnazionale con le figure più influenti della galassia sunnita in Siria e in Iraq per uscire dalla trappola del risentimento settario. Perché bombardare e basta aumenterà le vittime civili. E questo, come dimostrano gli ultimi quindici anni, finisce solo per rafforzare i radicali.


Bashar Assad era ancora un bimbo quando i russi hanno aperto la loro prima base a Tartus. Era il 1971, allora i siriani decisero di concedere l’uso di un punto d’appoggio logistico per le navi di Mosca. Uno scalo, neppure troppo grande, ma importante. E non lo hanno mai abbandonato. Oggi moli e gru fanno parte del piano lanciato da Vladimir Putin per sostenere Damasco. Un programma che poggia su tre pilastri per il momento irrinunciabili in quanto necessari a tutelare gli Assad e gli interessi del Cremlino. Visione che geograficamente trova il punto di sintesi nel cosiddetto corridoio di Latakia, che parte dalla costa e va verso Est, come nel cantone alawita, che scende verso Sud. Davanti il nemico. La miriade di formazioni ribelli e l’Isis che il regime non ha mai considerato come il target primario.
Molti rifugiati vengono dalla Siria, dove ora operano sul terreno anche i consiglieri militari russi. Non teme il rischio di una ulteriore escalation militare?
«In Siria non esiste una soluzione militare. Stanno combattendo da quattro anni e mezzo, sono morte oltre 250.000 persone, ci sono 4 milioni di rifugiati e 12 milioni di esseri umani colpiti dagli effetti della guerra. Sollecito una soluzione attraverso il dialogo politico, sulla base del comunicato di Ginevra del giugno 2012, e l’unità dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Col mio inviato Staffan de Mistura abbiamo proposto di creare gruppi di lavoro per la sicurezza, la situazione militare, la riconciliazione, lo sviluppo, le infrastrutture, le questioni politiche e costituzionali. È il tentativo di allargare lo spazio politico, per risolvere la crisi con lo strumento del dialogo».


È una vittoria per Obama. Un trionfo anzi. A consegnarlo al presidente i democratici che al Senato hanno bloccato una mozione presentata per respingere l’accordo sul nucleare iraniano. Questa volta hanno fatto muro e hanno aperto la strada per rendere realtà l’accordo negoziato con Teheran, consentendo a Barack Obama di evitare la sfida al Congresso attraverso il veto presidenziale.
Si è trattato di una votazione cosiddetta procedurale, che richiedeva un minimo di 60 voti per consentire alla mozione (Resolution of Disapproval) di procedere verso una ulteriore votazione finale. I voti a favore sono stati però soltanto 58, con 42 contrari, il testo è stato così bloccato e il promesso showdown tra Congresso e Casa Bianca sventato.
Premiati gli sforzi del presidente: Obama su questo accordo ci ha messo la faccia, letteralmente. Ha di persona guidato una campagna a tutto campo per assicurarsi e assicurare che i due anni di negoziati del cosiddetto gruppo 5+1 con Teheran non sarebbero stati vani. (...)

sabato 5 settembre 2015

Profughi e confini (Davide Giacalone)

Sul dramma dell'immigrazione, propongo un articolo che mi pare possa 
​essere di ​interess​e, per cercare di leggere con razionalità il problema.

F​rancesco Maria Mariotti
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"(...) La Germania ha unilateralmente deciso di accogliere i siriani, conquistandosi un posto nella bacheca della bontà. E’ stata una scelta in contrasto con l’ipotesi di una politica europea comune, proprio perché unilaterale. Sta di fatto che, da quel momento, complice l’enorme pressione sulle frontiere ungheresi, tutta la riflessione sull’immigrazione è concentrata sui siriani. Errore.

Intanto perché i profughi, quindi coloro i quali hanno diritto ad essere soccorsi e accolti, non vengono solo da lì. Se si vuole una politica comune si deve parlare tutti e di tutti, altrimenti si tratta di una scelta politica fatta da un solo Paese. Non c’è alcun dubbio sul fatto che i profughi abbiano diritto all’asilo.
I problemi sono tre: a. chi sono, come li si riconosce; b. quale è il limite oltre al quale vanno redistribuiti non solo dentro l’Ue, ma anche fuori, perché troppi; c. quale è la condizione in cui ci si pone il problema della guerra che li fa scappare, lavorando per farla cessare, il che comporta considerare come propria la guerra all’Is e come non desiderata l’alleanza di Assad. E comporta che ai turchi che si decidono a non offrire più coperture all’Is non si consenta di bombardare i curdi. Questi sono i dilemmi da affrontare, se dietro al piagnucolio non s’intende coprire le decisioni politiche di altri.Le quote obbligatorie hanno un senso a fronte della comune politica, altrimenti, sia nella versione accoglienza che in quella del pagamento, in vil denaro, per mancata accoglienza, diventano supporto a politiche estere non comuni. 

​(...) ​Se è problema comune allora comune deve essere la politica d’accoglienza, il che comporta comune amministrazione delle frontiere esterne, salvaguardando le conquiste (Shengen) in quelle interne.Se così non si procede non solo l’invocazione di più Europa e più integrazione si traduce in un gargarismo ipocrita, ma l’Italia si troverà in guai peggiori, perché il resto della pressione migratoria, fatta di gente in carne e ossa, di drammi umani, di bambini proiettati verso la speranza di una vita migliore, resterà problema di chi li vede alla propria frontiera, di chi va a salvarli dalla morte per annegamento, di chi deve sobbarcarsi il gravosissimo e necessario compito di rifiutarli e rispedirli indietro. Non essendo neanche in grado di farlo. (...)"

Zohr 1X: Sarà Vera Gloria? (Rassegna stampa sulla recente scoperta dell'Eni)

La notizia della scoperta del giacimento di gas data in questi giorni sembra essere fra quelle da seguire con molta attenzione; al tempo stesso - però - è bene aspettare dati più precisi, avendo presente - lo segnala il sito GreenReport richiamando un'analisi del prof.Bardi, di Firenze - che "l’impatto di questa scoperta sullo scenario globale rimarrà probabilmente limitato". Con la doverosa cautela nel giudizio complessivo, comunque è probabile che ci siano - sul medio-lungo periodo - interessanti conseguenze economiche e politiche, che potrebbero vedere l'Italia protagonista.

Di seguito una breve rassegna stampa con alcune riflessioni.

Francesco Maria Mariotti
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LA NOTIZIA E ALTRI DATI SULL'EGITTO (dal sito dell'ENI)

Il giacimento, con un potenziale fino a 850 miliardi di metri cubi di gas in posto e un’estensione di circa 100 chilometri quadrati, rappresenta la più grande scoperta di gas mai effettuata in Egitto e nel Mar Mediterraneo e può diventare una delle maggiori scoperte di gas a livello mondiale. Questo successo esplorativo offrirà un contributo fondamentale nel soddisfare la domanda egiziana di gas naturale per decenni e conferma come il paese sia ancora oggi al centro delle strategie internazionali del gruppo: un’alleanza che continua da oltre 60 anni.


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RASSEGNA STAMPA (tra gli altri : un interessante editroriale di GreenReport, Ugo Bardi, Ugo Tramballi, Maurizio Molinari, un'intervista a un analista del Cesi e una a Giulio Sapelli)

(...) Nonostante ciò, l’impatto di questa scoperta sullo scenario globale rimarrà probabilmente limitato. Le dimensioni del giacimento sono certamente rilevanti, ma «al mondo si ritiene che ci siano qualcosa come 190.000 miliardi di metri cubi di gas naturale estraibile. Ne consegue – sottolinea Ugo Bardi, docente di chimica fisica presso l’università di Firenze, membro dell’Aspo e del Club di Roma – che la nuova scoperta aggiunge circa lo 0.45% alle riserve mondiali,sempre ammesso che le riserve “possibili” si rivelino poi reali». Ogni anno, si evidenzia nella stessa analisi, si consumano 3.300 metri cubi di gas, ovvero più del triplo di quanto Zohr potrà dare nell’arco di decenni.

Lo scenario cambia man mano che si restringe il punto d’osservazione. Se a livello globale la scoperta Eni non è certo in grado di scompigliare le carte in tavola, per l’Egitto Zohr rappresenta la possibilità di una svolta nell’approvvigionamento energetico. Per Eni (il cui titolo in Borsa in queste ore ha spiccato il volo), se saprà gestire i rischi ambientali che senza dubbio seguiranno allo sfruttamento di Zohr, è la conferma di una leadership industriale di primissimo piano. Leadership che si scontra però con un contesto economico nel quale i prezzi delle commodity sono al minimo: oggi il grande punto interrogativo non riguarda il bisogno di nuova energia, ma di un nuovo modello di sviluppo.

Molto lentamente, nonostante tutto, per tentativi ed errori tale modello si riesce pian piano a intravedere. Come certifica proprio oggi l’Agenzia internazionale dell’energia, il costo di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (in particolare fotovoltaica ed eolica) è in calo da diversi anni, mentre la produzione da fonti fossili come petrolio, carbone e gas sta salendo. Nel suo rapporto Projected Costs of Generating Electricity: 2015 Edition, la Iea sottolinea come l’Lcoe (Levelized cost of energy, il costo di produzione di 1 kW elettrico) dal 2010 a oggi si stia muovendo in modo opposto per rinnovabili e fossili, mentre rimane sostanzialmente stabile per l’energia nucleare (come stabile, ovvero insoluto, rimane il nodo della gestione dei rifiuti radioattivi). Lo studio dell’Agenzia dà risultati diversi a seconda del contesto, ma il trend è chiaro in tutti i 22 paesi analizzati.

Per l’Italia quella aperta dalla scoperta Eni apre una finestra di breve durata, ma che vale la pena di essere sfruttata. Le ricadute energetiche per il nostro Paese saranno assai scarse: non ci sono gasdotti che collegano l’Italia all’Egitto, anche se Zohr potrebbe contribuire a ridare un senso ai rigassificatori presenti lungo la Penisola, e a oggi praticamente inutilizzati, come quello al largo delle coste toscane. Più rilevanti potranno essere le ricadute geopolitiche, se ben indirizzate. L’Italia ha da tempo smarrito il ruolo di leadership nel Mediterraneo che le è stato consegnato dalla storia, ma solidi ponti industriali come quello costituito da Eni potrebbero essere assai rilevanti per riconquistarla, anche di fronte a un’Europa perennemente concentrata sulle esigenze e i vincoli imposti dai paesi del nord.
Eppure il Mediterraneo abbraccia buona parte del futuro del mondo.(...)

"ENI: grande scoperta di un giacimento di gas naturale in Egitto". Come al solito, la stampa da i numeri, ma non riesce mai a renderli comprensibili. Dopo aver detto che dentro questo giacimento è possibile che ci siano "850 miliardi di metri cubi di gas" (e notare il "possibile"), se non il metti in prospettiva, tanto valeva dire "millanta." E' un numero che piomba dal cielo sui lettori che non trovano in questi proclami i dati che permetterebbero di confrontare la dimensione del giacimento con quella delle altre riserve mondiali.

Eppure, ci vuole veramente poco per fare la proporzione. Basta digitare "riserve mondiali di gas naturali" e trovi subito il dato su Wikipedia. E se non ti fidi di Wikipedia, lo trovi in inglese sul sito di BP e lo trovi anche in tanti altri posti. Come sempre, i dati sono incerti, ma un ordine di grandezza lo abbiamo. Al mondo, si ritiene che ci siano qualcosa come 190.000 miliardi di metri cubi di gas naturale estraibile.

Ne consegue che la nuova scoperta aggiunge circa lo 0.45% alle riserve mondiali, sempre ammesso che le riserve "possibili" si rivelino poi reali. Non è che poi sia quella gran cosa epocale che sembrerebbe essere leggendo le iperboli dei giornali.
Intendiamoci, non è una scoperta da poco. Sul Financial Times, dicono che potrebbe soddisfare i consumi dell'Egitto per 10 anni e l'Egitto ha disperatamente bisogno di energia in una situazione economica molto difficile. Ed è anche un bel successo per l'ENI; che ne ha molto bisogno,(...)

Ma se per l'Eni e l'Italia Zohr è un affare assoluto, per l'Egitto l'improvvisa ricchezza (la gran parte del gas servirà un mercato interno d quasi 100 milioni di consumatori) è a doppio taglio. Il paese è impegnato in una serie di riforme socialmente difficili che dovrebbero modernizzarne l'economia. Cambiamenti sui quali preme il Fondo monetario internazionale per rilasciare all'Egitto un credito da cinque miliardi di dollari (ora meno decisivi) e un attestato di economia affidabile. La nuova fortuna energetica potrebbe spingere il governo a imitare sauditi ed emiri del Golfo che per guadagnare stabilità interna e consenso, alle riforme tendono a preferire le sovvenzioni, a distribuire ricchezza come benevolenza del governante. L'Arabia Saudita, il Qatar, il Kuwait, l'Algeria non sono economie moderne. Quello della Libia di Gheddafi a fatica si poteva chiamare sistema economico. Ci sarà dunque una nuova ricchezza nel Mediterraneo meridionale, ma non più stabilità. Il governo egiziano avrà più consenso ma al terrorismo islamico che lo insidia non serve consenso per colpire. Un ventennio fa, con il processo di Oslo, iniziò il progetto di un “Gasdotto della pace” che dall'Egitto avrebbe portato energia a Israele, Gaza, Cisgiordania e Giordania. La pace fra israeliani e palestinesi non ci fu e il piano fallì, nonostante l'Egitto allora avesse ancora gas.
di Ugo Tramballi - Il Sole 24 Ore - leggi su Così cambierà la «gas-politik» (il Sole 24 Ore)

Secondo il comunicato di ENI, il giacimento si trova in un’area del Mediterraneo davanti all’Egitto a circa 200 chilometri dalla costa a una profondità di 1.450 metri, nel cosiddetto “Shorouck Block” dove ENI è attiva dal gennaio del 2014. L’estensione del giacimento sarebbe di circa cento chilometri quadrati: dalle informazioni geologiche e geofisiche disponibili, e dai dati raccolti nel pozzo di scoperta, la quantità di energia stimata equivale a 5,5 miliardi di barili di petrolio (850 miliardi di metri cubi di gas). Quell’area è gestita esclusivamente da ENI. L’attuale CEO della società, Claudio Descalzi, ha fatto sapere che saranno utilizzate le strutture esistenti sia a mare che a terra per mantenere i costi di sviluppo relativamente bassi. Ci vorranno diversi mesi per risolvere questioni legate ai contratti per lo sviluppo e la produzione, ma la perforazione dovrebbe iniziare all’inizio del prossimo anno. Se così fosse, in base ai progetti passati, la produzione comincerebbe circa un anno dopo, dunque all’inizio del 2017. Nella produzione ENI avrà una partecipazione pari al 50 per cento, mentre il resto sarà detenuto dalla società petrolifera di stato dell’Egitto.

La scoperta è avvenuta nell'offshore egiziano del Mar Mediterraneo presso il prospetto esplorativo denominato Zohr. Il pozzo Zohr 1X, attraverso il quale è stata effettuata la scoperta, è situato a 1.450 metri di profondità d'acqua, nel blocco Shorouk, siglato nel gennaio 2014 con il Ministero del Petrolio egiziano e con la Egyptian Natural Gas Holding Company (Egas) a seguito di una gara internazionale competitiva. Dalle informazioni geologiche e geofisiche disponibili, e dai dati acquisiti nel pozzo di scoperta - spiega il Cane a Sei Zampe - «il giacimento supergiant presenta un potenziale di risorse fino a 850 miliardi di metri cubi di gas in posto (5,5 miliardi di barili di olio equivalente) e un'estensione di circa 100 chilometri quadrati. Zohr rappresenta la più grande scoperta di gas mai effettuata in Egitto e nel mar Mediterraneo e può diventare una delle maggiori scoperte di gas a livello mondiale. Questo successo esplorativo offrirà un contributo fondamentale nel soddisfare la domanda egiziana di gas naturale per decenni. Eni svolgerà nell'immediato le attività di delineazione del giacimento per assicurare lo sviluppo accelerato della scoperta che sfrutti al meglio le infrastrutture già esistenti, a mare e a terra. Il pozzo Zohr 1X, che è stato perforato a 4.131 metri di profondità complessiva, ha incontrato circa 630 metri di colonna di idrocarburi in una sequenza carbonatica di età Miocenica con ottime proprietà della roccia serbatoio». La struttura di Zohr presenta anche un potenziale a maggiore profondità, che sarà investigato in futuro attraverso un pozzo dedicato.


Anche se agli operatori non era passato inosservato l’attivismo dell’Eni negli ultimi mesi, nulla toglie alla straordinarietà della scoperta di qualche giorno fa: non solo perché è una delle dieci identificazioni maggiori per metri cubi di gas (fino a 850 miliardi, equivalenti a 5,5 miliardi di barili di petrolio equivalente), ma perché rispetto ad altri contesti l’estrazione dovrebbe costare meno. Circa un terzo dell’estrazione nell’Artico e un quinto del fracking negli Usa, stima Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia. Stando alle stime diffuse dalla stessa Eni, il Cane a sei zampe ha la possibilità di reggere investimenti con un prezzo depresso, fino a 40-45 dollari al barile. Per arrivare a questi risultati dal punto di vista tecnologico la chiave è stato un supercomputer dell’Eni nella sede di Pavia, che ha elaborato miliardi di informazioni al secondo, sulla base delle informazioni che arrivavano dalle esplorazioni al largo dell’Egitto, fino a indicare che a 1,5 chilometri di profondità c’era un serbatoio scappato a tutte le rilevazioni precedenti. Dal punto di vista strategico la chiave è stata invece la scelta di puntare sul Mediterraneo. È stata una decisione attribuibile all’attuale amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, che ha costruito la sua carriera principalmente nel Continente Nero (la moglie Madeleine inoltre è originaria del Congo). Già negli anni Ottanta Descalzi ha lavorato tra Libia, Nigeria e Congo, nel 1994 ha assunto il ruolo di managing director della consociata Eni in Congo e nel 1998 è diventato vice presidente e managing director di Naoc, la consociata Eni in Nigeria. In seguito nei suoi incarichi ha sempre seguito anche l’Africa e il Medio Oriente. La sua decisione di puntare sull’Africa è stata letta come una svolta rispetto alla gestione di Paolo Scaroni, il precedente amministratore delegato, molto legato all’Asia e alla Russia di Putin in particolare, oltre che al pozzo senza fondo (in termini economici) di Kashagan, in Kazakistan.

L’indipendenza energetica dell’Italia dalla Russia? Un Egitto in posizione di forza rispetto agli altri Paesi del Nord Africa? Secondo Gabriele Iacovino, coordinatore degli analisti del Centro Studi Internazionali (Cesi), è troppo presto per dire quali saranno le conseguenze geopolitiche della scoperta appena annunciata dall’Eni, che ha individuato al largo delle coste egiziane il giacimento di gas più grande del Mediterraneo e uno dei più importanti al mondo (850 miliardi di metri cubi stimati). “Si tratta di prospettive ancora da verificare e, eventualmente, a lungo termine. Pensare a un’indipendenza dalla Russia nel breve periodo è utopistico”. Quello che già ora si può affermare, però, è che la scoperta del gruppo partecipato dal Tesoro “rafforza i rapporti politici ed economici con l’Egitto”. Le reali conseguenze della scoperta del giacimento, di cui il Cane a sei zampe detiene il 100% dei permessi di sfruttamento, dipendono anche da come l’azienda deciderà di portare il gas in Europa. “Non c’è un gasdotto che collega l’Egitto all’Italia”, continua Iacovino, “per questo dico che i frutti di questa scoperta si vedranno anche e soprattutto a medio-lungo termine. Le possibilità sono due: costruire nuove infrastrutture che colleghino il Paese nordafricano all’Europa o trasformare il gas in liquido, trasportarlo in Italia e qui rigassificarlo negli impianti nazionali che, in questo, sono molto all’avanguardia. Questa seconda opzione ha però dei costi elevati”.(...)

L'amministratore delegato dell'Eni, Claudio Descalzi, ha sottolineato l'impostanza strategica del giacimento Zohr 1X da 850 miliardi di metri cubi, quali sono le conseguenze geopolitiche di una scoperta del genere nell'area?
Sapelli: "C'e un fatto geopolitico in se: questa scoperta da forza all'Egitto che in tutta in quell'area lì è l'unico soggetto statale e non un aggregato tribale come Libia e Siria. Solo Tunisia e Marocco hanno raggiunto una statualità stabilizzata ma non hanno la potenza economica e militare dell'Egitto. Devo dire anche una cosa che molti osservatori non sottolineano e cioè che questo si collega alla crisi del Sudan, dove c'è la foce del Nilo. Lì ci sono progetti di costruzione di dighe che abbasseranno il livello del Nilo con evidenti coseguenze sull'Egitto. E allora una scoperta del genere può sostenere l'economia locale, aiutare le pmi egiziane a crescere e sostenere, ad esempio, lo sviluppo di nuove tecnologie di irrigazione".
Per l'Italia l'impatto diretto sul mercato del gas sembra minore, ma quali possono essere i vantaggi?
Sapelli: "Dato che non si sa cosa può succedere con l'Ucraina avere una fonte alternativa è sempre utile. Ma la cosa importante è che questa scoperta dimostra quanto sia stato importante per l'Eni aver deciso a suo tempo di restare in Egitto. Comunque l'Italia ha un'altra fonte di probabile approvvigionamento energetico. Seconda cosa una scoperta del genere porta un indotto energetico molto vasto. C'è lavoro per molte industrie, per molte fabbriche e per molte altre attività. Molte altre imprese italiane possono allocarsi lì e lavorare di conserva. Mi sembra un'ottima, ottima notizia per noi".(...)

Inoltre, il fatto che il giacimento di Zohr sia stato ritrovato in un’area da tempo sotto osservazione stretta delle compagnie petrolifere potrebbe avere rilevanti sviluppi geopolitici. Nelle acque tra Cipro, Libano, Israele ed Egitto, le scoperte si sono moltiplicate, come l’area di Leviathan (tra Israele e Cipro) ha dimostrato. Per i Paesi del Levante mediterraneo ciò potrebbe significare un notevole potenziale economico su cui fare affidamento nel futuro prossimo. Palestina inclusa, naturalmente, con tutto quello che comporterebbe per lo sviluppo economico e la pace della Striscia di Gaza e dei Territori. (...)
Infine, i continui ritrovamenti di gas naturale mettono sempre più in risalto, in prospettiva “climate change” e conferenza di Parigi (a dicembre), il fatto che il gas potrebbe a tutti gli effetti rivestire il ruolo di combustibile “ponte”, di transizione verso fonti rinnovabili a impatto zero. Un altro elemento (che piace ovviamente molto alle compagnie come l’Eni) su cui varrebbe la pena di discutere.


E’ la possibile genesi di un network di interessi alternativo a quelli che attraversano aree di crisi endemica, Stati falliti o Paesi a noi ostili. Non è un caso che, durante la cena a Palazzo Vecchio nella Sala delle Udienze già luogo di lavoro di Machiavelli, il premier Matteo Renzi abbia anticipato all’ospite israeliano Benjamin Netanyahu l’annuncio di Eni arrivato puntuale la mattina seguente. I giornali egiziani avevano tratteggiato la notizia quello stesso giorno e non si trattava dunque di una rivelazione. Ma fonti israeliane, presenti alla cena, si soffermano sulla comune valutazione positiva di Renzi e Netanyahu in merito al «Zohr Prospect» perché l’interesse è coincidente: se per l’Italia significa differenziare le fonti energetiche, per il premier di Gerusalemme è un’arma preziosa da adoperare al fine di accelerare in patria la liberalizzazione del mercato del gas.Non a caso il ministro dell’Energia, Yuval Steinitz, si è affrettato a far sapere al Parlamento che «mentre noi perdiamo tempo nella definizione dell’assetto regolatorio, il mondo intorno a noi sta cambiando». Ovvero, liberalizziamo in fretta, superando il duopolio Noble Energy-Delek nella gestione del gas naturale off-shore di «Leviathan» e «Tamar» davanti a Tel Aviv e Haifa, prima che gli egiziani ci rubino clienti e mercati dall’Europa alla Giordania fino all’Africa. La convergenza di interessi fra Renzi, Al-Sisi e Netanyahu sull’energia, consolidata dalle intese con Grecia e Cipro, suggerisce la possibile genesi di un club di Paesi del Mediterraneo dotati di alta tecnologia e risorse naturali, dunque capaci di dare vita ad un polo energetico alternativo ai colossi di Mosca e del Golfo. Consegnando al Mediterraneo un imprevisto ruolo di protagonista di una formula di sviluppo economico capace di generare risposte efficaci alle sfide dell’emigrazione di massa e del terrorismo islamico.

Le président du conseil italien Matteo Renzi a téléphoné dans la foulée à son « ami » le président Abdel Fattah Al-Sissi pour « discuter ensemble de l’impact de cette découverte sur la stabilité énergétique de la Méditerranée et sur les perspectives de développement de la région ». Le PDG d’ENI, Claudio Descalzi, a estimé que « cette découverte historique sera en mesure de transformer le scenario énergétique d’un pays entier qui nous accueille depuis 60 ans ».
Cette découverte est égaloement une bonne nouvelle pour le gouvernement égyptien. L’exploitation de ce gaz en offshore pourrait en effet permettre de garantir une certaine sécurité au moment où l’Egypte est le théâtre d’une vague d’attentats perpétrés par la branche locale de l’organisation djihadiste Etat islamique (EI). Selon certains experts, l’EI aurait en effet pour projet de toucher l’Egypte d’Al-Sissi au portefeuille, en effrayant touristes et investisseurs internationaux. (...)

“Zohr is the largest gas discovery ever made in Egypt and in the Mediterranean Sea and could become one of the world’s largest natural gas finds,” Eni said in a statement. “The discovery, after its full development, will be able to ensure satisfying Egypt’s natural gas demand for decades.”
The energy company added: “Eni will immediately appraise the field with the aim of accelerating a fast-track development of the discovery.”
In the statement, Mr. Descalzi said that the discovery reconfirmed that Egypt still has “great potential” in terms of energy production. “Important synergies with the existing infrastructures can be exploited, allowing us a fast production start-up,” he said.
Eni has been in Egypt since 1954 through its subsidiary IEOC. It is the main hydrocarbon producer in Egypt, the company said, with a daily equity production of 200,000 barrels of oil equivalent.