venerdì 1 agosto 2014

La Resa Dei Conti

L'illusione di non dover fare i conti con i limiti finanziari del Paese, e con le evidenti difficoltà economiche del momento, è - finalmente - finita.

Il Presidente del Consiglio aveva detto che gli 80 euro erano "più che coperti"; aveva suonato la tromba della battaglia con l'Europa per avere più "flessibilità"; ha continuato a negare la necessità di una manovra in autunno.

Forse la manovra si potrà evitare, ma le tensioni di oggi intorno alla spending review e alle possibili dimissioni di Cottarelli indicano che questo Governo sembra non rendersi conto degli sforzi che siamo chiamati a fare, Europa o non Europa, per rimanere in equilibrio dal punto di vista finanziario.

Basta con continui annunci, basta con riforme istituzionali di dubbia rilevanza. Ora è necessario difendere i risparmi degli italiani e i conti pubblici del Paese. Se questo Governo non è in grado di farlo, è necessario cambiare, e in fretta.

FMM

(...) Se la campagna del Senato va a buon fine, il governo la utilizzerà per dire: abbiamo cominciato a cambiare l’Italia, adesso non rompeteci troppo l’anima sui conti. Se si dovesse impantanare in guerra di trincea, la utilizzerà per dire: c’impediscono di cambiare l’Italia, meglio tornare alle urne. Nel primo caso ci sarà il tempo per cambiare la legge elettorale, magari usando anche il dialogo con i pentastellati. Nel secondo si accetterà di votare (sempre che il Colle copra l’operazione con lo stesso partecipe trasposto con cui copre i ludi senatoriali) con un sistema meno certo nel risultato, puntando a gruppi parlamentari più direttamente e personalmente controllabili. In ambedue i casi l’obiettivo è quello di non far precedere il voto da un assestamento dei conti, che non gioverebbe alla credibilità e popolarità di Renzi. Questo il panorama tattico. Ma poi c’è la sostanza, coriacea assai.
Intanto perché il cambiamento del Senato non si tradurrà in una più veloce a corriva attività legislativa, se non passando prima per le urne. Ciò per l’inaggirabile motivo che anche in caso di cambiamento costituzionale non è che il Senato sparisca all’istante, ma occorre che sia sciolto quello presente. Poi perché ignorare l’aggiustamento dei conti ci porterà ad avere un debito ancora più alto, quindi a veder crescere la massa tumorale che ci soffoca. La tanto reclamata e declamata elasticità non giova minimamente né all’economia reale né al tenore di vita dei cittadini, aiuta i governi a non prendere atto dei propri insuccessi. Vale per tutti, non solo per l’Italia. Noi, però, siamo i più esposti, proprio perché intestatari del debito più potenzialmente esplosivo.(...)


E’ dalla trincea delle banche che s’ode, finalmente, qualche colpo sensato contro la piega negativa presa dall’Europa economica. Nulla a che vedere con la geremiade sui parametri o con la biascicata litania sulla flessibilità, che sono cose per politici orecchianti. Anzi, all’opposto, Mario Draghi ribadisce quel che è oramai assodato: i trattati si rispettano tutti e senza deroga alcuna, i conti devono tornare, il rigore nel redigerli non ha alternative. Punto. Non è quello il fronte su cui combattere, se non per perdere. E mentre il conformismo editoriale si agita e concentra su quel che non è né utile né possibile, è significativo registrare la convergenza fra il presidente della Banca centrale europea e il presidente dell’Associazione bancaria italiana su un punto che è determinante. Se la cosa non fosse divenuta quasi un insulto (il che, a sua volta, è vilipendio della ragione), verrebbe da dire: finalmente due voci politiche, senza piagnistei contabili.
Draghi non ha chiesto maggiori poteri per la Bce, ma maggiori poteri per i governi. Fate attenzione, è decisivo: non si esce dalla crisi solo usando la cassetta degli attrezzi finanziari, si devono coordinare le politiche relative alle riforme del mercato interno europeo, denominate “strutturali”. Detto in modo diverso: non serve cedere altra sovranità monetaria, perché quella è oramai andata tutta, serve cedere sovranità politica, a favore di qualche cosa che somigli a un governo europeo. Ed è la cosa più insidiosa fin qui sostenuta, per la centralità imperiale germanica. Non si devono invitare i tedeschi a curarsi di più gli affari loro, come erroneamente è stato recentemente fatto da Matteo Renzi, ma a mettere maggiormente in comune gli affari di tutti. Il che, naturalmente, esclude che qualcuno pensi di fare il furbo (che poi è uno stupido) sui propri conti nazionali.(...)


(...) Quindi: se la richiesta di tagliare 17+10 miliardi, entro la fine dell’anno, è da considerarsi totalmente alternativa all’imporre nuove tasse e imposte, che la si saluti con soddisfazione; se è un modo per coprire altra spesa corrente, in un gioco dilapidante delle tre carte, che la si avversi con determinazione, perché porta dritto a più alta pressione fiscale. Posto che, come mettevamo in evidenza giusto ieri, dall’interno del governo si manifestano linee diverse e incompatibili fra loro, forse varrebbe la pena di farne oggetto di un dibattito parlamentare. Perché si può anche conservare l’immunità dalle inchieste giudiziarie (e si dovrebbe farlo senza ipocrisie), ma nessuno sarà immune dall’avere taciuto il rischio che corrono i conti di un Paese in cui la spesa è variabile indipendente dalla (de)crescita.


Come che sia, attendiamo fiduciosi. Sapendo che le “clausole di salvaguardia” esistono e lottano assieme a noi, o più propriamente contro di noi. Ulteriore nota a margine: Padoan, con grande onestà intellettuale, informa che al momento gli 80 euro sono disponibili solo per il 2014 ma che impegno solenne, suo e del governo, è quello di rendere permanente tale aumento. Lungi da noi l’idea di dubitare della parola di Padoan (di quella di Renzi si, ma è altro discorso), ma Padoan non controlla tutte le leve, e di conseguenza non ha potere sugli esiti.


Niente di nuovo sotto il sole. O forse sì: cresce il rischio che, per manifesta disperazione, qualcuno decida di attaccare frontalmente il risparmio degli italiani, non pago di quanto fatto finora con patrimoniali immobiliari e mobiliari, e con l’inasprimento della tassazione sui redditi di capitale diversi da quelli provenienti da debito pubblico

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