martedì 20 maggio 2014

Il Disastro Della Libia, La Non-Politica Italiana, Le Poche Cose da Fare

Il disastro della Libia - che questo minuscolo blog aveva segnalato come probabile fin dai tempi della retorica della "guerra di liberazione" - è ora davanti a noi. 

Di fronte a quanto sta succedendo dobbiamo porre alcune questioni, contingenti e di lungo periodo:

1. la classe dirigente italiana - non solo quella politica, ma in questo caso soprattutto quella politica - sembra totalmente incapace di opporre una qualsiasi "resistenza" alle campagne mediatiche che di volta in volta sorgono e muoiono nel volgere di pochissimo tempo; campagne brevi, forse anche non "intenzionali", ma che sono in grado di provocare gravissime distorsioni negli scenari politici; questa "fragilità culturale" del sistema italiano rischia di essere una tara insopportabile per qualsiasi strategia politica ed economica che voglia vedere una rinascita di questo Paese.

2. La distinzione destra-sinistra, o quella riformisti-conservatori vale poco di fronte a discorsi di strategia nazionale; in questo senso possiamo dismettere tranquillamente molti dei dibattiti che abbiamo fatto in questi anni, e anche negli ultimi tempi. Se si perdono di vista i "fondamentali", se sfuggono le "occasioni di crescita", discutere del numero di contratti da stipulare in un anno serve a ben poco.

3. Sembra fare eccezione allo sconsolante panorama italiano, l'ex premier Romano Prodi, che ha almeno la libertà e la spregiudicatezza di vedere la centralità della questione energetica, messa a rischio da questa situazione come da quella ucraina (vd. il post dedicato alla proposta)

4. Per arrivare al caso concreto Libia: purtroppo il tempo è poco e le cose da fare non sono molte; da quel che si percepisce in maniera confusa forse è impossibile "guidare" le cose, conviene "accompagnarle", tentando di sfruttare al meglio i cambiamenti in atto, contrattando duramente con i nostri alleati. Provo ad azzardare alcune questioni, anche se non ho competenze strategiche:

4.1. Si tenti di capire se nell'azione paramilitare ora in atto c'è l'appoggio degli americani e dei francesi, e ci si accordi con loro sul cosa fare; sia detto con poca ipocrisia: meglio un golpe ben fatto che il disordine, c'è poco da discutere di fronte all'ipotesi di una guerra civile, che ormai è già in corso. 

4.2. Per essere più chiari, qualsiasi scelta deve avere per noi un "ritorno"; se un governo non-fondamentalista - anche se di stampo militare - può portare una stabilità a noi utile, allora si appoggi con tutte le forze questa sorta di "colpo di stato".

4.3. La scelta deve essere chiara e condivisa dalle forze occidentali che operano nell'area; gli Stati Uniti ci chiesero di operare per la sicurezza di quel Paese e noi dobbiamo imporre che qualsiasi passaggio venga condiviso. L'Afghanistan non è per noi vitale come il Mediterraneo: anche se sarebbe giusto teoricamente continuare ancora la missione a Kabul, facciamo capire quali sono le nostre priorità.

4.4. Da parte della Francia dobbiamo essere in grado di avere lealtà e cooperazione: la possibile "bomba migratoria" che potrebbe nascere da un peggioramento della situazione non può che riguardare anche loro: è il caso di dirlo apertamente; se non ci aiutano in modo chiaro, la situazione sfuggirà di mano e il "disastro" colpirà anche loro.

4.5. Si ponga il problema libico anche in sede ONU, e con le nuove superpotenze come la Cina, che ha fortissimi interessi in Africa: se la situazione non si risolve in breve tempo, avremo - lo abbiamo già, in realtà - uno stato fallito. Deve essere chiaro che tutta la comunità internazionale deve aiutarci a garantire una qualche forma di stabilità, anche nel caso si dovesse accettare una sorta di spartizione di fatto della Libia. Se ci deve essere una qualche forma di "amministrazione controllata" di questi territori, noi dobbiamo poter essere protagonisti di qualsiasi passaggio.

4.6. Abbiamo portato in Italia personale militare libico per addestramento; a quale parte dell'esercito appartenevano? Siamo in grado di capire con chi abbiamo condiviso la nostra esperienza militare? abbiamo mantenuto contatti? questi contatti possono aiutarci?

4.7. Massima allerta sul fronte delle investigazioni, anche interne: quali sono i rischi effettivi di immigrazione di fanatici con intenzioni violente? Anche questa minaccia va condivisa con tutti gli alleati, chiarendo che se non ci danno una mano a gestire la situazione, i rischi non saranno solo dell'Italia.

Il tempo è pochissimo, e queste sembrano le poche cose da fare. E forse non solo queste, visto che è sempre necessario giocare su più tavoli. In questo momento è necessario essere realisti e spregiudicati.

Francesco Maria Mariotti

In Libia le forze armate comandate dal generale deposto Khalifa Hiftar hanno dichiarato guerra al terrorismo jihadista mettendo in dubbio l'autorità del governo di Tripoli. Venerdì scorso, il generale 71enne ha lanciato un'offensiva bombardando alcuni quartieri della città orientale di Bengasi. A Tripoli, i gruppi armati messi insieme dal "generale", hanno assaltato il parlamento. La sede dell'assemblea nazionale è stata evacuata dopo essere stata circondata da diversi veicoli corazzati entrati nella capitale dalla strada che la collega all'aeroporto di Tripoli. 



La volontà del generale Hiftar è quella di riuscire laddove il governo centrale di Tripoli ha fallito sin dal rovesciamento del regime di Muammar Gheddafi: ristabilire la sicurezza nel paese riunendo in un unico esercito le diverse milizie che detengono il controllo della Libia sul terreno. L'offensiva dell'esercito parallelo di Hiftar ha generato un'escalation nei combattimenti contro le brigate degli integralisti islamici con un'intensità di sparatorie e bombardamenti che ricorda quella del 2011. Il governo libico, dopo il weekend, ha imposto una no-fly zone sui cieli di Bengasi, dove si contano al momento 70 morti e circa 140 feriti in seguito all'offensiva militare.


Dopo l'occupazione del parlamento, il generale Mokhtar Farnana, membro delle forze di Hiftar, si è rivolto alla televisione nazionale annunciando la formazione di un'assemblea costituente composta da 60 membri che dovrebbe prendere il posto dell'attuale parlamento. Rivendicando l'assalto, Farnana ha affermato di avere l'appoggio del popolo libico e di aver dichiarato guerra al terrorismo islamico.


Hifter è un personaggio un po' misterioso: schierato contro Gheddafi durante la rivolta di tre anni fa, originariamente vicino agli islamisti, fondatore di un partitino che non ha ottenuto neppure un seggio al Parlamento, se ne è andato in esilio volontario in America dove- secondo voci non confermate - avrebbe preso domicilio a pochi chilometri dalla sede della Cia a Langley. Rientrato in Libia all'inizio di quest'anno, è già stato coinvolto in una rivolta contro il potere costituito in febbraio, risoltasi in nulla. Adesso ci sta riprovando, assicurando di non cercare il potere ma di puntare solo a riportare l'ordine in un Paese in cui i poteri del governo si fermano a pochi metri dal Palazzo e, a causa del caos provocato dall'esistenza di 170 diverse milizie l'una contro l'altra armate, la produzione petrolifera, unica fonte di entrate, è precipitata da 1,5 milioni a 250-300 mila barili l'anno. In questo quadro, appare assai significativo che il generale, rifiutando l'etichetta di golpista, abbia chiesto l'aiuto internazionale per «rimuovere il cancro del terrorismo dalla Libia».


Potrebbe diventare, Haftar, l'uomo forte che riprende il controllo di una situazione sfuggita di mano a tutti, come dimostrano non solo il crollo dell'estrazione degli idrocarburi, la fuga delle imprese straniere (negli ultimi mesi ci sono stati anche i rapimenti di tre lavoratori italiani) ma anche le incontrollate partenze di massa dai suoi porti di profughi africani diretti in Italia? Nelle cancellerie occidentali, e nelle grandi compagnie petrolifere, molti sicuramente se lo augurano, anche perché in seguito alla crisi ucraina le forniture di gas e di greggio dalla Libia sono tornate ad essere più importanti.



Il nome di Khalifa Haftar non è nuovo nella storia recente della Libia. Daniele Raineri, giornalista italiano del Foglio che si occupa soprattutto di paesi arabi e Medio Oriente, aveva raccontato di Haftar già lo scorso febbraio, dopo che l’ex generale aveva fatto circolare un messaggio video in uniforme in cui chiedeva alle forze armate di «salvare» il paese. In quell’occasione, Raineri aveva raccontato la storia di Haftar:

"Nel 1983 era il comandante delle truppe di terra libiche quando Muammar Gheddafi ordinò l’invasione del confinante Ciad, poi disertò e andò a vivere in America (Virginia), per tornare in Libia quando scoppiò la rivoluzione contro Gheddafi nel 2011 a cercare un ruolo di primo piano. Nel luglio dell’anno scorso il generale della rivoluzione contro Gheddafi (secondo lui) oppure ora semplice colonnello (secondo altre fonti) ha fatto circolare un piano in dieci punti per tirare fuori il paese dallo stallo politico. Due punti importanti: uno è il congelamento del Congresso nazionale e l’instaurazione di un governo provvisorio, pronto a dichiarare lo stato d’emergenza per – è l’altro punto – combattere contro le milizie e sbarazzarsi finalmente di loro. Il proposito di combattere contro le milizie ribelli che a più di due anni dalla morte di Gheddafi non si sono ancora rassegnate al dopoguerra, non si fanno domare e rendono la Libia uno stato spezzettato in tante signorie guardate da jeep con mitragliatrici è l’unico punto che consegna a Haftar tanti consensi fra i libici, stanchi dell’instabilità."


Nessun commento:

Posta un commento