martedì 4 marzo 2014

La Guerra, L'Economia, I Mercati: I Limiti Del Principe

Probabilmente è troppo presto per tirare un sospiro di sollievo sulla questione ucraina. Troppo forti gli interessi russi sulla Crimea, troppo alta la posta in gioco per l'Occidente, dal punto di vista dell'"onore" - se c'è onore nelle relazioni internazionali (forse sì, a volte no) - e dal punto di vista delle svariate "dipendenze", soprattutto economiche, che questa crisi mette in luce. 

E' invece interessante notare come oramai il "sismografo mercati finanziari" sia sempre più rilevante, anche per i paesi che forse nella percezione comune non corrispondono all'idea di nazioni - diciamo con una espressione "aggiustata" per intenderci - "a forte leva finanziaria".

In questa dialettica che non è più - e non sarà più - solo con l'economia reale, si riscontra forse il vero limite della guerra di questi tempi, e dunque della politica. 

(O forse di un certo tipo di guerra, da cui l'esplosione dei cosiddetti conflitti asimmetrici, che però confermano i limiti della potenza "classica"; e forse per questo quando i conflitti superano una certa intensità - vd. Siria - nessuno sembra in grado di fermarli, portando alla deriva totale una collettività). 

Perché nell'impossibilità di una guerra totale (ed eccezion fatta - o conferma, in realtà, come ci si domandava? - nel "suicidio" della guerra civile) - v'è scritta l'impossibilità della politica, intesa come desiderio di comando, di progettazione della realtà, di cambiamento delle strutture portanti della società.

Bene o male che sia, e personalmente mi pare che gli elementi positivi superino quelli negativi, il Principe appare spodestato o comunque non più così potente, come spesso -a sinistra come a destra - ci si illude che sia , anche quando Principe "democratico".

Nel pensare un'Europa "non-solo-moneta" faremmo bene a non illuderci di poter tornare a un'idea di collettività con una direzione comune, certa e razionalmente definita. 

Il patto che legherà le future collettività non potrà essere stipulato solo con gli elettori. Già non illudersi e non illudere i cittadini sarebbe un ottimo passo in avanti per rendere più concreti i nostri legittimi sogni di poter "costruire" un mondo migliore.

Francesco Maria Mariotti



Rispondere a Vladimir Putin con le sue stesse armi, sarebbe per l'Europa un modo veloce, diretto e completamente sbagliato. Prendendo controllo della Crimea, Putin ha violato con arroganza le leggi internazionali. Ma il suo potere nel confronto militare è maggiore di quello che può esercitare sul piano diplomatico. È al tavolo negoziale che va esposta la sua debolezza, inclusa quella economica mostrata ieri dai mercati. È lì che l'Europa può imporre il rafforzamento della democrazia in Ucraina, svalutando di riflesso l'autocrazia di Mosca. Non con minacce di missili o di dure sanzioni, come piace ai più radicali a Washington, ma seminando il virus democratico ai confini della Russia. Ogni volta che i cingoli solcano il terreno, cadiamo preda di un riflesso automatico che stigmatizza come debole o tardiva la ricerca europea di soluzioni diplomatiche. L'esperienza delle primavere arabe giustifica molti pregiudizi. Ma questa volta la cancelliera Merkel, promotrice di un approccio sia di condanna sia di mediazione attraverso un "gruppo di contatto" – che contrasta con la tentazione americana di isolare Mosca - ha ragione e bene ha fatto il governo italiano a capirlo e a sostenerlo.
di Carlo Bastasin - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/v6LfJ
L’arrivo dei soldati con e senza mostrine in Crimea solleva una doppia questione di indipendenza. Lo fa dal punto di vista politico per l’Ucraina, crocevia del gas che dai serbatoi dell’ex impero sovietico confluisce verso l’Europa attraverso una rete di 40 mila chilometri di oleodotti. E poi da quello energetico per l’Europa, terra in cui alcuni leader in queste ore si staranno forse chiedendo se sia stato davvero un affare trattare con compiacenza il sempre indisponente zar Vladimir, e quanto sia stata una buona idea non costruire un mercato unico dell’energia fondato su una rete integrata a livello continentale.
Il riscaldamento delle case e l’energia delle imprese in Lituania, Estonia e Lettonia sono legati al 100 per cento ai gasdotti che portano a Gazprom. La Romania al 97,5 per cento. La Polonia al 67. L’Europa allargata, dunque tutto quello che si trova sopra, di fianco e sotto l’Ucraina, ha una dipendenza del 30 per cento. Venticinque miliardi di metri cubi l’anno sono assorbiti dall’Italia, che da sola consuma un quinto dell’export russo verso la parte occidentale del Continente. Questa, insieme con gli interessi economici e industriali condivisi con Mosca (in primo luogo attraverso l’Eni), è la principale ragione della grande (e inevitabile) cautela diplomatica adottata dal governo.

E’ dal giorno dell’occupazione delle truppe russe in Crimea che il capo dello Stato segue con molta attenzione l’evoluzione della crisi in Ucraina. Certo, lui è il capo del Consiglio Supremo di Difesa, come vuole la Costituzione. Ma c’è di più. E’ come se l’affare ucraino, così delicato a livello internazionale, abbia fatto scattare quel ruolo di consigliere d’esperienza da parte di Napolitano nei confronti del giovane premier e del giovane ministro degli Esteri Federica Mogherini. Non una supplenza, naturalmente. Piuttosto la consapevolezza di non essere soli a gestire una questione più grande di tutti. Renzi ne ha parlato stamane con Napolitano, in quei 40 minuti di colloquio a margine dell’inaugurazione del corso accademico di formazione degli agenti dei nostri servizi segreti, proprio nella sede dell’Aisi a Monti, in centro a Roma. Di fatto, è la prima volta che il segretario del Pd si trova a dover tener conto dei suggerimenti non solo del capo dello Stato ma anche delle gerarchie militari. Insomma, in questi affari non c’è rottamazione che tenga. E la crisi Ucraina non esalta il carattere decisionista del presidente del Consiglio. E’ un bene, a sentire i giudizi che ci arrivano da ambienti militari.


Legittima difesa collettiva

L’Ucraina ha mobilitato le proprie forze armate. Essa ha diritto di esercitare la legittima difesa, come consentito dalla Carta delle Nazioni Unite, diritto che è connaturato all’esistenza stessa dello stato e che non richiede, per il suo esercizio, di essere autorizzato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Ben vengano le parole di moderazione come quelle espresse dal governo italiano, ma è assurdo non ricordare i diritti della vittima dell’aggressione e in particolare che questa può reagire con la forza armata, quantunque le forze in campo siano incommensurabili.

Alla vittima dell’attacco armato spetta non solo il diritto di legittima difesa individuale, ma anche quella collettiva: terzi stati possono intervenire a suo favore.

La Nato dispone di un meccanismo di legittima difesa collettiva a tutela dei propri membri, nel senso che se uno stato dell’alleanza è attaccato gli altri debbono intervenire a suo favore. Questo non è il caso dell’Ucraina, che non è membro della Nato.

Teoricamente però, la Nato, pur non essendovi obbligata, potrebbe intervenire a favore dell’Ucraina, con una missione decisa dal Consiglio atlantico. Teoricamente, poiché nessuno vuole morire per Kiev e infatti la Nato non è andata oltre la deplorazione dell’intervento russo e la sua stigmatizzazione come violazione del diritto internazionale. 



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