giovedì 10 gennaio 2013

Sul Reddito Minimo Garantito (Van Parijs - Vanderborght, Il reddito minimo universale, Università Bocconi editore)


"Nell’Utopia di Thomas More (1516) il viaggiatore Raphaël argomenta con l’Arcivescovo di Canterbury che un reddito minimo contribuirebbe alla lotta alla criminalità più della pena capitale. Oggi Philippe Van Parijs e Yannick Vanderborght (Il reddito minimo universale, Università Bocconi editore, 190 pagine, 14 euro) sostengono la superiorità di un reddito di cittadinanza individuale, universale e incondizionato, erogato dalla comunità politica a tutti i suoi membri, rispetto a ogni altra forma di welfare, basando la loro affermazione su argomenti etico-filosofici, ma sostanziandola con una puntuale analisi economica.
In buona sostanza, solo con la sicurezza di un reddito minimo universale i cittadini, secondo i due autori, potrebbero dirsi effettivamente liberi di compiere ogni altra scelta di vita, senza lo spettro della necessità di sussistenza.
Il dibattito sul reddito minimo universale, pur trovando degli antecedenti fin dal XVI secolo, diventa di vera attualità con la rivoluzione industriale e con i connessi bisogni di protezione sociale. Van Parijs, che insegna etica economica e sociale a Lovanio e filosofia politica ad Harvard, è uno dei protagonisti del dibattito, soprattutto europeo, sul reddito di cittadinanza degli ultimi venti anni. “Per alcuni”, scrivono gli autori nell’introduzione, “il reddito minimo universale costituisce un rimedio decisivo a numerose piaghe sociali, a cominciare dalla povertà e dalla disoccupazione. Per altri, è soltanto un’assurda chimera, economicamente impraticabile ed eticamente ripugnante”. Van Parijs e Vanderborght non fingono di essere neutrali, ma cercano di fornire al lettore le basi intellettuali per affrontare con cognizione di causa il dibattito.
Le resistenze all’introduzione di un automatismo che distribuisca una uguale somma di denaro a ogni cittadino, miliardario o nullatenente, impiegato, disoccupato o estraneo per scelta al mercato del lavoro sono “concettuali e morali prima ancora che di bilancio”, spiega nella prefazione Chiara Saraceno, ed è proprio a queste obiezioni che i due autori rispondono, in dettaglio, nel libro.
In queste pagine aleggia una certa fiducia nel fatto che il reddito minimo universale si sia affrancato, nell’ultimo quarto di secolo, dalla zona d’ombra dell’utopia, per avvicinarsi ad essere una reale possibilità. L’unico luogo al mondo in cui è realtà, anche se in piccola scala, è l’Alaska. Dal 1981 parte degli introiti derivanti dallo sfruttamento del sottosuolo sono divisi in parti uguali tra i cittadini, anche se la cifra risultante non è particolarmente significativa. (...)"


Le due versioni del reddito minimo garantito europeo (laStampa)

Il presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, lo invoca. Persino Mario Monti nella sua famosa agenda lo richiama. Il reddito minimo garantito è sempre stato un cavallo di battaglia della sinistra sociale, ma ora anche autorevoli liberisti ne sembrano affascinati. In Europa solo Grecia e Italia ne sono prive. In altri paesi, Regno Unito, Francia, Germania, paesi scandinavi si sono da tempo attrezzati. In sintesi, le formule sono due, l'obiettivo uno solo: evitare che con la diffusione della disoccupazione ampi strati di popolazione cadano nella condizione di povertà. Le due versioni di reddito minimo garantito sono: una legata alla condizione lavorativa, l'altra legata alla lotta alla esclusione, indipendentemente dalla condizione lavorativa. (...)




mercoledì 9 gennaio 2013

La Cina abolisce i campi di rieducazione?

LA CINA dovrebbe cancellare entro l’anno in corso i campi di rieducazione attraverso il lavoro, i laojiao, l’annuncio lo avrebbe dato Meng Jiangzu, fino al mese scorso ministro della Pubblica sicurezza. La notizia è dirompente, se è vera, se non vi saranno smentite, se l’agenzia ufficiale Nuova Cina la confermerà nell’immediato, perché ieri si è limitata a comunicare che il governo cinese andrà avanti nella riforma del sistema penale senza citare l’abolizione del sistema dei campi di lavoro, in vigore da 56 anni. Un sistema che ha impresso una macchia ignominiosa su un regime che è sorto senza preoccuparsi troppo della certezza del diritto, dove la giustizia si fregiava dell’unica certezza di essere "proletaria" e gli abusi sono stati infiniti, purtroppo immaginabili. Per essere condannati al laojiao, non c’era - e non c’è ancora-bisogno di nessun processo, basta che la polizia lo voglia e lo sanzioni conunapratica amministrativa di reclusione fino a un massimo di tre anni, a discrezione aumentabili fino a otto. E poi? Negli ultimi tempi la stampa, anche quellapiùvicina al p otere, ha svolto inchieste per denunciare labarbarie di un metodo che forse andava bene negli anni caotici della Cina rivoluzionaria ma che non è ammissibile in un Paese che aspira alla leadership mondiale. E da più parti è stato ribadito che questa pratica è in contraddizione con la Costituzione del 1983, ancora una volta al centro della richiesta di vere riforme. (...)

Il Nobel Soyinka: “L’islam politico è peggio della schiavitù” (ilFoglio)

Una testimonianza su cui riflettere. L'Islam teocratico e fondamentalista non è l'unica voce di una fede professata da milioni di persone in tutto il mondo e non vanno fatte semplificazioni; ma non possiamo negarlo: c'è il forte rischio che possa diventare la parte vincente e politicamente più forte, soprattutto se non si guarda con attenzione a quello che avviene in Africa.

FMM


“Potete uccidermi se questo è il vostro modo di agire, ma le vostre bombe non mi costringeranno mai a sedermi a un tavolo con voi”, aveva detto di recente l’ottantenne Wole Soyinka dopo le minacce di morte che gli erano arrivate da Boko Haram, il potente gruppo islamista che sta insanguinando la Nigeria facendo strage di cristiani. Il nome del premio Nobel per la Letteratura del 1986, autore di capolavori quali “L’uomo è morto”, è infatti in cima alla lista degli intellettuali africani che i terroristi vorrebbero eliminare. Il servizio d’intelligence nigeriano ha da poco consigliato a Soyinka di tagliarsi la barba per evitare di essere riconosciuto per strada. 
Dopo essere finito nel mirino dei fondamentalisti islamici, il premio Nobel, fra le personalità più prestigiose dell’Africa e storico protagonista delle battaglie per la democrazia, torna a scrivere contro i terroristi e gli islamisti con un nuovo libro “On Africa”.

Il libro contro “l’aggressione egemonica dell’islam politico” esce nel momento in cui nella Nigeria natia di Soyinka decine di cristiani ogni giorno vengono uccisi dai terroristi. Nel grande plateau subsahariano descritto da Soyinka impazza l’odium fidei. Secondo Philip Jenkins, uno dei massimi esperti di religioni, “in Nigeria è in gioco l’equilibrio fra islam e cristianesimo”. Uno scontro che più che dalle immagini del film di Sydney Pollack “La mia Africa”, che inscena un continente opulento e affascinante, è simboleggiato dal villaggio nigeriano di Dogo Nahawa, dove gli islamisti hanno falcidiato a colpi di machete trecento cristiani, la maggior parte donne e bambini.  Trenta i fedeli uccisi una settimana fa. Prima, a Chibok, nel nord-est del paese, durante una funzione religiosa in una chiesa presa d’assalto da uomini armati. Poi a Musari, vicino al quartier generale dei militanti della setta islamica Boko Haram: i terroristi hanno tagliato la gola a quindici cristiani durante la notte. (...)

Il Nobel Soyinka: “L’islam politico è peggio della schiavitù”


Rischio Ungheria? - 2


(...) Il becero appello lanciato nel cuore dell'Europa per un'eliminazione dell'etnia rom è firmato da Zsolt Bayer, tra i fondatori del partito di destra Fidesz, che fa capo proprio a Orban.
Il giornalista non è nuovo a intemerate razziste e questa volta ha preso di mira la comunità rom, che in Ungheria rappresenta il 7% della popolazione. (...)
Jenö Setét, direttore dell'Ong Ide tartozunk (Noi viviamo qui) ha ricordato che la serie di attacchi alle comunità rom in Ungheria, che ha portato a 6 morti tra il 2008 e il 2009, era stata preceduta da discorsi e da articoli simili a quello pubblicato nei giorni scorsi da Magyar Hirlap. E il partito DK (Coalizione Democratica), che fa capo all'ex premier Ferenc Gyurcsany, ha chiesto alla Procura Generale di Budapest di incriminare Zsolt Bayer per incitazione all'odio e alla violenza, annunciando una manifestazione di protesta contro il governo per domenica 13 gennaio. (...)


Leggi anche:


La curva di Phillips in otto parole (in memoria di Luigi Spaventa - laVoce.info)


Traggo dal sito la Voce.info un breve ricordo di Luigi Spaventa. Mi sembra molto bello e attuale. Allo stesso indirizzo sono scaricabili gli articoli di Spaventa raccolti in un dossier.

FMM

La curva di Phillips in otto parole, di Francesco Daveri

Luigi Spaventa non era solo un economista brillante e curioso. Era anche un grande comunicatore, capace di condensare in poche battute concetti complicati. Un esempio riguarda la sua fulminea trattazione della curva di Phillips durante un seminario alla Bocconi.
Per i non addetti ai lavori, la curva di Phillips è una relazione stimata molti anni fa da un economista inglese (Phillips) che, con i dati della prima metà del XX secolo per l’economia inglese, credeva di avere scoperto la possibilità di uno scambio tra disoccupazione e inflazione. I dati di Phillips sembravano cioè dimostrare che accettando un po’ di inflazione i politici potevano ottenere una minore disoccupazione, semplicemente allentando i cordoni della borsa della spesa pubblica. Dalla fine degli anni Sessanta in poi, però, l’esistenza di questa relazione è stata messa in dubbio da Milton Friedman che su questo punto vinse il premio Nobel e si guadagnò il consenso della maggior parte della professione economica. Per questo nei corsi di macroeconomia di solito si spiega che il guadagno di minor disoccupazione al costo di più alta inflazione implicato dalla curva di Phillips è, al più, temporaneo e che quindi non vale la pena che un governo faccia deficit e inflazione per far scendere per poco tempo la disoccupazione.
Tutto questo lungo (e verboso) discorso tecnico fu riassunto da Luigi Spaventa in poche parole efficaci, dicendo che molte volte i governi “Si fanno una botta di vita sulla curva di Phillips”. Otto parole invece di otto righe. Anche per questo ci mancherà.

lunedì 7 gennaio 2013

In Memoria di Luigi Spaventa - Come far piangere gli speculatori - Repubblica, 10 maggio 2010


Proprio un anno fa, e anche nel 2011, avevo utilizzato un bell'articolo di Luigi Spaventa, che oggi piangiamo, per provare a spiegare alcune possibili vie di uscita dalla crisi. Certo, non basta un articolo a commemorare uno studioso di grande livello. Ma credo che rileggere questo articolo possa far capire quanta strada abbiamo fatto, in questi anni così pesanti. 
(i grassetti sono miei)

FMM

IN CHE COSA consiste la speculazione? In un'imponente concentrazione di mezzi finanziari atta a provocare un esito che, pur se non altrimenti giustificato, fa vincere la scommessa. La speculazione si batte non con le deprecazioni né mandando i marines, ma facendo piangere chi ci ha provato: le lacrime di chi ci ha provato sono i soldi che gli si fanno perdere. Per far perdere i soldi alla speculazione, le autorità devono essere decise e dimenticare per un momento le regole del galateo.

I ribassisti ne fanno di tutte; dispongono dei mezzi tecnici più sofisticati; operano con una leva gigantesca, senza impegnare soldi propri. Se la pressione cresce (otto giorni fa al mercato dei derivati di Chicago si contavano 103.400 contratti al ribasso sull'euro, pari a quattro volte le posizioni lunghe, per un valore di quasi 17 miliardi di dollari) che cosa dovrebbero fare le autorità che tutelano la nostra stabilità? Consultare il manuale di buone maniere di Monsignor della Casa e reagire senza dare prova di maleducazione? Oppure togliersi i guanti e picchiare? Nell'agosto del 1998, in esito alla crisi finanziaria del Sud-Est asiatico, quando finirono al tappeto le economie più dinamiche dell'area, la speculazione prese di mira con pesanti bordate la valuta e il mercato azionario di Hong Kong. Poiché i consueti strumenti di difesa (aumento dei tassi) non bastavano, l'autorità monetaria del territorio buttò alle ortiche l'ortodossia e decise di presentarsi in borsa come compratore di ultima istanza, in contropartita dei venditori a pronti e a termine, e acquistò azioni  -  azioni, si badi, non casti titoli di Stato  -  per 15 miliardi di dollari. Questa operazione (battezzata doppio slam, double whammy) inflisse gravissime perdite ai ribassisti, che dovettero abbandonare il terreno con gravi perdite. Vi fu anche un lieto fine: l'autorità monetaria rivendette gradualmente le azioni acquistate lucrando un profitto di 4 miliardi per le casse pubbliche (così come la banca centrale americana sta facendo profitti, rivendendo i titoli acquistati durante la crisi per sostenere le banche). 

Non suoni eresia: la sola entità che possiede più mezzi di qualsiasi diabolico speculatore è una banca centrale che abbia il potere di emettere moneta. Solo quella banca centrale può essere compratore di ultima istanza di qualsiasi attività finanziaria che sia oggetto di un attacco speculativo ribassista, a condizione che quella attività sia denominata nella valuta che essa emette (per la Bce un titolo in euro, per la Federal Reserve un titolo in dollari). Naturalmente questo è un rimedio estremo per mali estremi: per metterlo in opera si deve essere convinti che il valore mirato dalla speculazione non sia quello "giusto"; che senza turbolenze si potrebbe raggiungere un valore diverso e mettere in opera procedure più ordinate. Mi pare evidente che queste condizioni ricorrano oggi: (...)