domenica 10 novembre 2013

Il Nostro Impegno in LIbia - Missione Militare italiana in Libia (MIL)

(...) In particolare, le principali attività svolte dal team hanno riguardato: 
• istruzione e supporto a favore del personale militare libico;
• raccolta dati circa le attività di supporto internazionale in corso ed inoltro delle esigenze urgenti  avanzate dalle autorità libiche;
• gestione delle esigenze sanitarie e di evacuazione di feriti/pazienti libici verso strutture sanitarie  civili e militari nazionali;
• attività di coordinamento con l’Ambasciata italiana (personale libico da/per l’Italia, esigenze  MAE, etc.).

Nel corso del tempo i rapporti bilaterali tra Italia e Libia si sono progressivamente sviluppati, concretizzandosi in accordi di cooperazione nel campo della Difesa – tra tutti, il Memorandum of Understanding del 28 maggio 2012 in tema di cooperazione nel campo della Sicurezza e Difesa – ed in una serie di attività di cooperazione nel settore formativo, addestrativo, industriale, della ricostruzione e dello sviluppo di capacità, ampliando l’arco operativo della missione Cyrene.
Lo Stato Maggiore della Difesa ha reso noto che ha avuto inizio ieri (29 ottobre, nota mia, FMM) a Tripoli la prima fase dell’addestramento a favore delle nuove forze armate e di sicurezza libiche da parte dei militari italiani. In particolare, il programma prevede l’addestramento di base di circa 500 militari che, dopo un’iniziale fase di selezione e amalgama, verranno inviate in Italia per ricevere, per aliquote, un ulteriore addestramento di specializzazione. L’addestramento e la selezione del personale libico è condotto, in coordinamento con le autorità locali, da un team di quindici militari dell’Esercito Italiano. L’attività nasce, su specifica richiesta del governo di Tripoli, nell’ambito del G8 Compact in cui è stata prevista un’ampia offerta addestrativa e formativa a favore delle reclute locali. Il programma(...) comprenderà, nel suo insieme, l’addestramento sino ad un massimo di 2000 militari provenienti dalle tre regioni libiche: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Il personale addestratore italiano è integrato nella Missione Italiana in Libia (MIL), ufficialmente lanciata lo scorso 1° ottobre quale evoluzione dell’Operazione “Cyrene”, con lo scopo di organizzare, condurre e coordinare le attività addestrative, di assistenza e consulenza nel settore della Difesa a favore del governo libico.

(...) La MIL, che ha lo scopo di organizzare, condurre e coordinare le attività addestrative, di assistenza e consulenza nel settore della Difesa, si articola in una componente core interforze a carattere permanente, e in una componente ad hoc, costituita da mobile teams formativi, addestrativi e di supporto in base alle esigenze di volta in volta individuate dalle FA libiche. Il comunicato non precisa se in base agli accordi bilaterali i nostri militari saranno autorizzati a portare le armi per l’autodifesa, esigenza quanto mai stringente considerato il “blitz” condotto da alcuni rapinatori nella sede della missione italiana e il caos che caratterizza la Libia con scontri tribali e azioni terroristiche condotte dai gruppi estremisti islamici che peraltro controllano le milizie più forti del Paese grazie anche al supporto di Arabia Saudita e Qatar. Anche il termine Stato appare forzato dal momento che due regioni su tre appaiono ormai fuori dal controllo di Tripoli.

La Cirenaica è ormai un’entità autonoma dominata sul piani militare da milizie salafite e qaediste mentre la regione meridionale del Fezzan ha proclamato nei giorni scorsi l’autonomia e il controllo delle proprie risorse energetiche. I programmi di addestramento delle reclute libiche vedono l’Italia direttamente impegnata con gli istruttori a Tripoli e con programmi di formazione per le reclute libiche da attuare in Italia come già anticipato da Analisi Difesa. Programmi ancora in fase di definizione e non è chiaro dove le reclute libiche verranno ospitate e addestrate, tema non secondario anche sul piano della sicurezza poiché molti soldati libici provengono dai ranghi delle milizie incluse quelle di ispirazione salafita. Anche Gran Bretagna e Stati Uniti parteciperanno all’addestramento del nuovo esercito di Tripoli. Circa 8 mila reclute libiche (delle 20 mila da addestrare) dovrebbero venire trasferite in turni di addestramento di 150/200 per volta in due basi bulgare messe a disposizione degli Stati Uniti come ha annunciato il mese scorso il ministro della Difesa di Sofia Angel Naydenov.(...)

(...) Oltre alla formazione professionale delle forze armate, prevista in altri accordi specifici tra i due Paesi, in quell’occasione si mise a punto un piano che abbracciava tutti i settori sensibili: dai centri di accoglienza al pattugliamento delle coste, fino alla condivisione delle informazioni sulle organizzazioni criminali al centro della tratta di esseri umani. Il tutto con l’obiettivo di evitare che barconi a rischio di affondamento prendessero il mare. Ebbene, di quell’accordo, né del successivo a firma dell’attuale ministro Angelino Alfano, si sono avuti esiti. Nulla.
Gli unici effetti del rapporto italo-libico si sono visti sul piano squisitamente militare, e tutto a vantaggio dei libici.(...)
Grazie a questa intesa in pratica l’Italia mantiene già strutture e assetti militari in Libia per poter portare avanti la “Missione militare Italiana in Libia” (Mil), con lo scopo di organizzare, condurre e coordinare le attività addestrative, di assistenza e consulenza nel settore della Difesa, sia con una componente permanente, che con una ad hoc di supporto, in base alle esigenze di volta in volta individuate dalle forze armate libiche.
Dunque l’Italia che aveva rapporti privilegiati con Gheddafi, mantenuti poi con il consiglio Nazionale di Transizione attraverso l’Operazione “Cyrene” del 2011, dimostra con questo patto militare di non voler cedere la propria posizione di favore anche con il nuovo governo. Il problema è che ciò che resta solo sulla carta, è anche quello che servirebbe di più, per evitare tragedie e fermare i mercanti di morte. Se l’Italia non può farcela da sola, a maggior ragione non può la Libia, alle prese con una complessa transizione, che ha portato situazione interna estremamente complessa e dalle prospettive incerte.
Molto potrebbe invece fare l’Unione Europea, con l’Italia magari in prima fila. Unendo le forze e ottimizzando le strutture, in una sinergia tra forze armate già verificata in altre missioni internazionali, non ultime proprio quelle di “Difesa comune europea”, sotto la cui egida vengono svolte incarichi delicati in altri paesi instabili come Congo, Somalia, Darfour o Chad Somalia. Forse questa si, un’operazione militare che veda impegnato un esercito europeo, anche questo rimasto troppo a lungo solo sulla carta, sarebbe una soluzione per fermare i trafficanti prima che organizzino i viaggi e si arricchiscano sulla disperazione altrui. Ed evitare che il mare della speranza diventi mare della morte.

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