mercoledì 28 agosto 2013

Siria: Ancora Una Guerra Senza Politica?

Provo a dire alcune cose sulla situazione siriana, di seguito potete leggere articoli e commenti per poter approfondire. 

1. Da quel che si legge, le informazioni sul presunto utilizzo di armi chimiche sono tutt'altro che certe. Perché Assad avrebbe colpito in modo così plateale quasi a voler provocare gli USA? Oltre al dubbio razionale sui moventi (vd. in senso diverso l'articolo di Anna Momigliano su Panorama), vi sono in realtà dubbi anche sulle immagini che sono state fatte girare dai media (si veda un altro degli articoli proposti di seguito, tratto da il Giornale).

2. Torna dunque prepotente - come per la Libia - il tema della gestione delle informazioni, della verificabilità delle stesse; dell'inevitabile "torsione politica" che si insinua anche nella notizia più limpida, da un certo punto di vista.

3. E dunque, torna di nuovo la riflessione sulla capacità della politica di "fare filtro" rispetto alle spinte mediatiche, che troppo spesso assumono la forma di "emozioni guidate"; di fronte ad esse il decisore politico dovrebbe porsi "in contrasto" o almeno con la capacità di declinarle e governarle. Capacità che sembra totalmente scomparsa; siamo passati da una politica che pretendeva di guidare il mondo - sbagliando per eccesso di "dirigismo" - a una politica schiava delle pulsioni dell'immediato. Che sempre pulsioni sono, anche laddove si presentino sotto forma di una normatività che si pretende etica.

4. Cosa succederà "dopo"? Questa la domanda che bisogna porsi, rispetto a un possibile intervento in campo siriano. Si vuole arrivare a deporre Assad? E chi trionferebbe? Milizie qaediste, forse. Un rischio che dobbiamo avere ben presente. E che probabilmente trattiene ancora la decisione finale.

5. Altro fattore negativo, che sembra farsi presente anche in questo intervento: la semplificazione della guerra in dinamica tecnologica. In questo momento - tra le altre cose - si ipotizzano attacchi aerei per tre giorni; pare valere ancora l'idea che la guerra "dall'alto" sia meglio gestibile, come se ciò non comportasse rischi tangibili, come se le dinamiche politiche potessero essere "sterilizzate" attraverso la superiorità teconologica. Una rischiosa illusione.

Provo a concludere: per combattere bene una guerra, bisogna saper costruire "attorno" una politica, che è  - anche, per certi aspetti molto banalmente  - la capacità di tenere assieme mezzi e fini. 

Laddove ci fosse capacità di rapportare i mezzi scelti a fini coerenti e realmente gestibili, sarebbe paradossalmente poco importante istruire indagini su presunte armi chimiche. 

Si faccia la guerra, dunque, se si è capaci di costruire un nuovo ordine. Ma se non lo si è - e in questo momento nessuno ne è capace - allora è il caso di riflettere molto attentamente, e - forse - attendere.

Francesco Maria Mariotti


È un limite, certo. Ma al tempo stesso è il segnale - e l'auspicio - che si tratti di un intervento limitato, nei numeri e nello spazio temporale. Obama non vuole altri impegni bellici a lunga scadenza, che dissanguino uomini ed economia. Era restio ad agire in Libia, figuriamoci che effetto gli fa un ginepraio qual è la Siria. Per questo ha dato spazio a forze speciali e droni. Ora spera di «punire» Assad senza rimanere intrappolato in uno scacchiere che sinora gli ha procurato solo guai. Ha provato a tenersi lontano dal Medio Oriente, ma le questioni regionali hanno finito per risucchiarlo. E poi, facendo l'errore di invocare le famose linee rosse sull'uso delle armi chimiche, si è spinto nell'angolo da solo. Una volta che hai tracciato il limite invalicabile, non puoi far finta che non esista. Al Congresso, dove pure ci sono degli interventisti, aspettano spiegazioni dal presidente. Le hanno sollecitate.

Il ministro degli Esteri, Emma Bonino, dice che chi sostiene di avere prove certe sull’attacco con armi chimiche di mercoledì scorso alla periferia di Damasco dovrebbe condividerle, perché il fatto è troppo importante e ne derivano conseguenze enormi (l’intervento armato internazionale, che sembra imminente). Chiediamo al ministro: “Si riferisce a Israele? Secondo la stampa tedesca, gli israeliani avrebbero intercettato le comunicazioni dell’esercito siriano durante l’attacco e il loro ministro dell’Intelligence, Yuval Steinitz, sostiene che è ‘chiaro come il cristallo’ che la responsabilità è del governo siriano. Deve condividere?”. Bonino, annuisce, “dico a chiunque abbia informazioni che provano con certezza cosa è successo. Non dico che dovrebbero essere portate a me, o a Roma, ma esistono organi internazionali come il Consiglio di sicurezza. I francesi lo hanno già fatto, hanno portato tutto il loro dossier sugli attacchi chimici di marzo alle Nazioni Unite. Quello che io mi auguro davvero, proprio per evitare che ciascuno tiri dalla sua parte, e tutti hanno una parte… Vorrei che queste dichiarazioni, tra l’altro spesso così perentorie, trovassero un luogo di esame, dove possono essere depositate e condivise 
Il giornalista Phil Sands aggiunge: le unità siriane che hanno bombardato con i razzi chimici non sapevano quello che stavano facendo. Sands è il corrispondente da Damasco del giornale The National (Emirati Arabi Uniti), ha lasciato la capitale a marzo dopo cinque anni. Scrive che secondo le sue fonti gli ufficiali militari siriani coinvolti nell’attacco chimico ora stanno tentando di prendere le distanze e insistono di non avere saputo che i razzi contenessero sostanze tossiche. “Gente vicina al regime ci ha detto che i missili gli sono stati consegnati poche ore prima dell’attacco”, dice una fonte a Damasco. “Non arrivavano dall’esercito ma dall’intelligence dell’aviazione militare, per ordine di Hafez Makhlouf. Gli ufficiali dicono che non sapevano ci fossero armi chimiche. Anche qualcuno tra quelli che li hanno trasportati dice che non aveva idea di cosa ci fosse – pensava fossero armi convenzionali”.

Tel Aviv. Le chiamate al 171, centralino del servizio postale israeliano che distribuisce alla popolazione le maschere anti-gas, sono triplicate nelle scorse ore, assieme al numero di cittadini che si è presentato ai centri di distribuzione in tutto il paese. Si intensificano infatti in questi giorni gli indizi di una possibile operazione militare americana contro la Siria, dopo i presunti attacchi chimici che mercoledì avrebbero ucciso nei sobborghi di Damasco centinaia di persone. Per molti israeliani, il timore è quello che un attacco militare degli Stati Uniti e dei loro alleati possa rendere Israele, vicino della Siria e del Libano con i quali è formalmente in guerra, il più ovvio obiettivo di una rappresaglia armata. Le parole di alcuni funzionari siriani sarebbero una non troppo velata minaccia alla sicurezza nazionale, scrive il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, riportando una frase del ministro dell’Informazione di Damasco: “Un attacco americano infiammerebbe tutto il medio oriente”. Minacce esplicite sono venute da Khalaf Muftah, ex aiutante del ministro, oggi funzionario del partito Baath. In caso di attacco “Israele finirà nel mirino”, ha detto ieri in un’intervista radio. “Abbiamo armi strategiche e siamo capaci di rispondere”.

Eppure questa volta, forse, chi vede il regime siriano prossimo alla fine potrebbe non sbagliarsi. Perché ieri il segretario di Stato americano John Kerry ha pronunciato un discorso durissimo, che lascia intendere che Obama, a breve, potrebbe fare quello che, beh, per mesi ha fatto di tutto per evitare: attaccare la Siria. “C’è una ragione, se il mondo ha messo al bando, completamente, l’utilizzo di armi chimiche”, e “c’è una ragione se il presidente Obama ha chiarito, davanti al regime di Assad, che questa norma internazionale non può essere violata senza conseguenze”, ha detto Kerry (...) Cosa succede in Siria? (Anna Momigliano su Rivista Studio)
Gli scettici fanno notare che qualcosa, dal punto di vista meramente razionale, non quadra: «Per quale ragione Assad avrebbe dovuto usare le armi chimiche, sapendo da tempo che Obama non le avrebbe tollerate?», ha scritto per esempio Marcello Foa del Giornale. «È come se un conducente lanciasse l’auto a 200 km all'ora in una zona in cui il limite è 80, pur essendo stato informato della presenza di un autovelox e, dietro l’angolo, di un posto di blocco. Non ha senso».
Eppure, dal punto di vista del regime siriano, un senso l'utilizzo del gas nervino potrebbe avercelo. Le spiegazioni sono due. Forse Assad ha commesso un errore di valutazione, convinto che Obama non avrebbe preso provvedimenti concreti. Oppure ha voluto provocare gli Usa. Una cosa che, per quanto strano possa sembrare, rientra nel modo di pensare di Assad. Che, come riferiscono suoi ex collaboratori passati dalla parte dell'opposizione, è convinto che la sua forza consista proprio nella sua capacità di essere sopravvissuto, in più occasioni, agli attacchi dell'Occidente. Dottor Bashar, Mister Assad (A.Momigliano su Panorama)
Le immagini di Ghouta, la località dove il governo avrebbe usato i gas sono devastanti dal punto di vista emozionale, ma assai ambigue dal punto di vista documentale. La contraddizione più evidente è la mancanza di protezioni da parte dei presunti sanitari arrivati a soccorrere le vittime. L'altra è la sistematica plateale teatralità con cui i bambini deceduti vengono allineati davanti agli obbiettivi. Ad Halabja nel marzo 1988 i gas di Saddam non fecero distinzione tra vittime e soccorritori e sterminarono chiunque non si fosse allontanato. A Ghouta nessuno fugge, non c'è un clima di panico e gli ospedali continuano a funzionare. Siria ed Egitto come la Libia: islamisti campioni di inganni (ilGiornale.it)
A una settimana dal presunto attacco con armi chimiche che il 21 agosto avrebbe fatto centinaia di vittime alla periferia di Damasco, gli Stati Uniti e i paesi europei sembrano pronti alla rappresaglia contro il governo siriano. Ma qualsiasi intervento andrà calcolato attentamente, scrive la stampa europea.

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