martedì 20 agosto 2013

America autonoma (da ilFoglio.it)

Correva il marzo del 2012 quando Edward Morse, professore a Princeton ma con una lunga esperienza al dipartimento di stato ai tempi di Carter e di Reagan, diede alle stampe un corposo studio dal titolo “Energia 2020: l’America sarà la nuova Arabia Saudita?”. Nel giro di sei mesi il professor Morse fu costretto a metter nel cassetto il suo lavoro per produrne uno nuovo di zecca, uscito a febbraio. Il titolo? “Energia 2020: the Independence day”. Non è escluso che l’accademico di Princeton, alla luce degli ultimi dati, debba esibirsi in una terza fatica. Gli Stati Uniti, infatti, stanno diventando la nuova potenza dell’export di greggio e gas.
Tra il giugno 2012 e la metà del 2013 il saldo positivo della bilancia energetica americana è stato di 110,2 miliardi di dollari, circa il doppio del saldo precedente (51,5 miliardi). Una vera e propria rivoluzione, insomma, che gli Stati Uniti devono a pochi, ostinati animal spirits piuttosto che all’iniziativa dei grandi gruppi industriali o tantomeno della Casa Bianca. Molto si deve a Greg Mitchell, un anziano petroliere da poco scomparso che, a 79 anni suonati, decise di investire tutto quel che possedeva per perforare con le tecniche del fracking un pozzo in North Dakota. “E’ grazie a lui se oggi l’America è di nuovo indipendente”, si legge nella lettera che Daniel Yergin, la massima autorità in materia di greggio, ha scritto al presidente Barack Obama perché premiasse Mitchell con la Medaglia della Libertà, la massima onorificenza presidenziale. Ma la Casa Bianca, che ora non ha presa né polso sui paesi mediorientali dai quali dipendeva per il petrolio, non ha risposto in tempo: Mitchell, nel frattempo è scomparso e il presidente non ha dovuto affrontare le critiche dei Verdi, una fetta rilevante del suo elettorato; a conferma che questa rivoluzione avviene senza alcuna pianificazione. Anzi la politica, quando interviene, non lo fa per incentivare o programmare, ma per ostacolare o rallentare. L’Alaska è ancora in ampi tratti off limits per l’esplorazione, come buona parte della costa atlantica e pacifica. (...) 
Ma Obama, pur attento a non infrangere le regole del politically correct, non disdegna affatto i vantaggi che derivano dalla rivoluzione energetica: una posizione più forte sullo scacchiere internazionale, perché gli Stati Uniti dipendono sempre meno (o non dipendono affatto) dal petrolio mediorientale; circostanza che spiega anche se non giustifica l’impegno più distratto nell’area più calda del pianeta. Senza trascurare altri aspetti positivi (le difficoltà dell’economia russa, di riflesso al calo delle quotazioni del gas) o la minor baldanza dei sauditi che, per bocca del principe al Waleed, cominciano a parlare di possibile decadenza dell’Opec.

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