martedì 30 ottobre 2012

Chiediamo l'Aiuto BCE, Prima Che Lo Imponga l'Europa

Viste le recenti novità politiche del nostro Paese - le dichiarazioni "anti-Monti" e "anti-tedesche" di Berlusconi e i risultati delle elezioni in Sicilia - è necessario capire quali potranno essere gli sviluppi in termini di situazione finanziaria del Paese, nel suo difficile rapporto con i mercati internazionali.

Con i recenti sviluppi l'Italia rischia di tornare nella scomoda posizione - nonostante gli sforzi fatti - di "Paese a rischio": considerazione ingiustificata dai fondamentali, come ha ben detto Mario Monti, ma "comprensibile" guardando alle difficoltà di un'ipotesi di scenario post-voto quanto mai incerto, sia per scadenza che per esiti.

Non è elegante citarsi, ma temo possa essere utile ripetere quanto detto in passato, in agosto (pur sperando in un diverso scenario): "(...) L'impasse però c'è e deriva dal timore che i passi avanti di questo periodo vengano dilapidati da due fattori: campagna elettorale confusa e/o inutilmente conflittuale, ed elezioni non risolutive. Da questo punto di vista l'unica possibilità di rassicurare i cittadini e i mercati che gli sforzi di questi mesi non siano vanificati da poche settimane di impazzimento politico passa per una strada molto stretta: la richiesta di aiuto alla BCE e la firma del relativo "memorandum".(...)"

Temo che non ci sia molto altro da dire, se non ribadire che l'alternativa non è più (se lo è mai stata) fra chiedere l'aiuto e non chiederlo, ma fra chiederlo noi autonomamente -  a breve, prima delle elezioni, gestendo (in qualche modo "autogestendo" con la BCE, in realtà) il relativo memorandum - e vedercelo imporre  (magari non subito, magari dopo le elezioni), sicuramente con condizioni molto più gravi e pesanti.

Cosa scegliamo?

Francesco Maria Mariotti

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lunedì 29 ottobre 2012

Ventisette a Uno (Diario da Herat, laStampa)

E’ il risultato della partita che dallo scorso mese si gioca continuamente tra le bombe rudimentali piazzate dagli insorti lungo le strade dell’Afghanistan occidentale e i genieri italiani che quotidianamente lottano contro il pericolo pubblico numero uno, quello che colpisce all’improvviso quando ci passi sopra, senza discriminare tra militari e civili. 
Ventisette disinneschi contro una sola esplosione a terra, che ha soltanto danneggiato uno dei blindati Cougar in dotazione proprio ai team del genio che precedono e accompagnano tutte le pattuglie che le forze di sicurezza afghane e i nostri militari mettono in campo ogni giorno. (...)


La prossima missione di Draghi (Stefano Lepri, laStampa)

Toccando ferro, perché altri - specie i politici - possono ancora commettere errori, Mario Draghi ha salvato l’euro. Di questo potrà farsi merito in silenzio giovedì, quando festeggerà il suo primo anno alla guida della Banca centrale europea.

(...) Nell’inverno il sostegno alle banche con prestiti triennali, l’estate scorsa l’impegno ad appoggiare gli Stati in difficoltà; anzi i dodici mesi Draghi li ha già festeggiati ieri con un’altra iniziativa. Il messaggio dell’intervista a Der Spiegel è che solo con più Europa, non con una difesa retrograda dei poteri degli Stati nazionali, le democrazie dell’euro possono riconquistare sovranità sul non democratico potere dei mercati finanziari. 

Resteranno sorpresi quelli che dall’estrema sinistra o dall’estrema destra accusano i dirigenti della Bce, «non eletti dal popolo», di voler imporre una crudele e iniqua sudditanza ai mercati. Tutto il contrario. Le parole di Draghi richiamano il caloroso manifesto europeista pubblicato qualche settimana fa da due politici molto diversi per collocazione, il liberale belga Guy Verhofstadt e il Verde Daniel Cohn-Bendit, ex leader del ’68 francese. (...)

Pur nel rispetto dei confini legali tra tecnica e politica, le responsabilità si intrecciano. Già da subito altre prove attendono la Bce, specie per compiere il grande passo avanti su cui al contrario Berlino frena, la cosiddetta unione bancaria. Dal 2014 non dovrebbe più accadere che organismi nazionali vietino a una banca di spostare i fondi in eccesso che detiene in un Paese dell’euro verso un altro Paese dove le imprese hanno fame di crediti (è accaduto); né che in uno Stato si chiuda un occhio sui cattivi affari di certe banche per non turbare equilibri di potere interni.  

Quando, ingrandita e potenziata, la Bce vigilerà sulle banche, dovrà essere ancor più capace di opporsi a pressioni politiche. Perché ci riesca è essenziale che conservi e rafforzi la fiducia della collettività. Una delle prossime mosse di Draghi potrebbe essere di rendere più trasparenti i dibattiti che si svolgono all’interno. 

venerdì 26 ottobre 2012

Un altro Alpino del ‘Doi’ andato avanti in terra di Afghanistan. (dal Blog Diario da Herat de laStampa)

Riporto il post di cordoglio per la morte del caporale Chierotti, apparso sul blog gestito sul sito de laStampa "Diario da Herat". Il link permanente a questo blog lo trovate qui sopra, fra le "pagine suggerite", in modo che possiate sempre averlo facilmente a disposizione.
FMM


Un altro Alpino del ‘Doi’ andato avanti in terra di Afghanistan.

MAGGIORE MARIO RENNA - COMANDO BRIGATA ALPINA TAURINENSE
  
Il caporale Tiziano Chierotti, 24 anni, di San Remo, è caduto in un conflitto a fuoco con gli insorti a Bakwa, dove da due mesi opera il 2° reggimento Alpini.  
  
“Un ragazzo d’oro”, racconta un sottufficiale che lo conosceva bene ed è venuto a trovarmi subito dopo la notizia per dirmelo, con gli occhi asciutti ma tristissimi. “Corretto. Puntuale. Preciso”. Un bel tipo di Alpino, aggiungo io. Dotato anche di tanto coraggio. Quello che serve per salire a bordo dei Lince e uscire tutti i giorni di pattuglia per assicurare un po’ di libertà e di benessere a chi non ha conosciuto altro che guerra, come il popolo afghano. 
Oggi gli Alpini di Cuneo erano usciti insieme ai militari afghani per andare in un villaggio, incontrare la popolazione, controllare le strade. Una missione costante, portata avanti con sacrificio. Poche settimane fa un’operazione della polizia locale si era conclusa con l’arresto di quattro insorti, grazie all’aiuto degli Alpini. E nell’ultimo mese era calato il numero di ordigni esplosivi ritrovati e distrutti dai genieri alpini del 32°. Segni incoraggianti.  
Oggi brutte notizie, invece, da Bakwa. Oltre al caporale Chierotti sono rimasti feriti altri tre Alpini, fortunatamente in modo non così grave. Il ‘Doi’ reagirà. Ha lo spirito della ‘Cuneense’ dentro.(...)

giovedì 25 ottobre 2012

Afghanistan, muore un alpino italiano, altri tre soldati sono rimasti feriti (Corriere.it)

Un alpino italiano, il caporale Tiziano Chierotti, è rimasto ucciso, e altri tre sono stati feriti, in uno scontro a fuoco giovedì in Afghanistan. Lo ha reso noto lo Stato maggiore della Difesa. Questo il bilancio di un episodio avvenuto nella provincia di Farah tra gli insorti e una pattuglia italiana. Gli altri tre soldati non sarebbero in pericolo di vita e sono ricoverati all'ospedale militare di Farah.
LE 52 VITTIME - Chierotti, colpito all'addome, era apparso subito in condizioni molto gravi. Nato a San Remo, e residente ad Arma di Taggia, sempre in provincia di Imperia, aveva da poco compiuto 24 anni. Si tratta del 52esimo soldato italiano morto sul campo dall'inizio della missione in Afghanistan, e del sesto dall'inizio del 2012. A febbraio erano caduti il caporal maggiore capo Francesco Currò, di Messina, il primo caporal maggiore Francesco Paolo Messineo, di Palermo, e il caporal maggiore Luca Valente, di Gagliano del Capo (Lecce). A marzo era toccato al sergente maggiore Michele Silvestri, romano, e a giugno a un altro salentino, il carabiniere scelto Manuele Braj. Il più «anziano» tra loro aveva 33 anni. Inoltre, il 13 gennaio scorso era morto sempre in Afghanistan il tenente colonnello Giovanni Gallo, 43 anni, colpito da un malore. (...)

mercoledì 24 ottobre 2012

La Trappola Dell'Eccesso Di Rigore (A. Quadrio Curzio su ilSole24Ore)


L'economia reale è trattata nell'ambito del «quadro di politica economica integrata» ma in modo insoddisfacente. Infatti dopo enunciati condivisibili relativi al perseguimento della economia sociale di mercato per una crescita economica competitiva con una occupazione forte e sostenibile, si riconduce il tutto alla necessità dell'equilibrio di bilancio degli Stati membri e alla flessibilità dei loro mercati di fattori e prodotti per evitare l'accumulo di squilibri. Tutto ciò è importante ma non indica una politica reale-industriale all'altezza della prima manifattura del mondo! Non vorremmo che questa impostazione riponga troppa fiducia sul fatto che basta più concorrenza per produrre più crescita. Il che è pressoché impossibile in una recessione grave come questa unita a politiche di bilancio rigide che la aggravano.
di Alberto Quadrio Curzio - Il Sole 24 Ore - leggi l'articolo integrale

lunedì 22 ottobre 2012

Fare Riforme Non E' Fare La Morale


Ammiro molto Elsa Fornero nella sua azione di governo (in particolare per la riforma previdenziale; argomento che comunque fra qualche anno probabilmente dovremo riprendere in mano per capire se il valore delle nostre pensioni basterà a garantirci un'esistenza dignitosa) e naturalmente non sopporto la prepotenza di chi le ha impedito di parlare (su questo episodio spero non vi siano tentennamenti nella condanna).

Detto ciò, ho l'impressione che Fornero a volte non percepisca le possibili semplificazioni che possono nascere da sue dichiarazioni (perché anche oggi le sue dichiarazioni sono state un po' semplificate, estraendo uno "slogan" da un pezzo di discorso più ampio...), diventando involontariamente la "peggiore avversaria" di se stessa e trovandosi così costretta a inseguire le sue stesse dichiarazioni per precisare.

Inoltre, nell'approccio complessivo di Fornero (ma è un problema solo suo? forse no...) si percepisce un "tono moralista" che stride con la drammaticità del momento che molti giovani si trovano a vivere; e che allontana dalla nostra attenzione il cuore del problema. 

venerdì 19 ottobre 2012

Esplosione a Beirut (analisi di Guido Olimpio - Corriere)

(...) Primo) Da mesi il Libano è teatro di tensioni e violenze, specie nel nord, che oppongono elementi contrari ad Assad e gruppi sponsorizzati da Damasco.

Secondo) Dal territorio libanese si sviluppa una “pipeline” che porta armi e volontari arabi allo schieramento ribelle in Siria. Anche il Corriere ha documentato come ambienti vicini ai sauditi usino la zona come piattaforma per rifornire gli avversari di Assad.
Terzo) Il movimento pro-iraniano Hezbollah e buon alleato di Damasco partecipa alla guerra civile in Siria con nuclei di combattenti. Una presenza negata ma provata dai funerali dei miliziani caduti in battaglia al fianco del regime.
Quarto) Nei villaggi al confine si sono verificati spesso scontri e sconfinamenti: è una zona usata per mille traffici e dunque utile per chi vuol far arrivare armi ai ribelli in Siria. In passato queste stesse rotte sono state usate dai siriani per inviare materiale bellico agli Hezbollah.
Quinto) Da settimane c’erano allarmi sui rischi di attentati in Libano. (...)

L'autorità che serve all'Europa (Franco Bruni, laStampa)

(...) La vigilanza accentrata delle banche è urgente anche per permettere al fondo salva-Stati di intervenire direttamente e autorevolmente nella ricapitalizzazione delle banche spagnole: e la Germania non può disconoscere che ciò è essenziale anche per la stabilità della finanza tedesca.  

Quanto all’integrazione delle politiche di bilancio è noto che le esitazioni tedesche derivano soprattutto dalla paura di dover pagare per l’indisciplina dei Paesi spendaccioni. D’altra parte integrare le politiche significa proprio rendere più efficace la disciplina delle finanze pubbliche. Si è già fatto molto: il nuovo Patto di Stabilità, le procedure di consultazione del «semestre europeo», l’obbligo di pareggio, ancorché flessibile e «intelligente», introdotto nelle leggi costituzionali, dovrebbero evitare per tempo che i bilanci nazionali rimangano su strade insostenibili. Si lavori per far funzionare davvero tutto ciò. Si può anche andare oltre. Merkel ha detto al Bundestag che ci vuole un commissario unico dell’euro in grado di invalidare i bilanci nazionali non in linea con gli obiettivi europei.  

L’idea non è del tutto discosta dalla proposta di bilancio integrato fatta in giugno da Van Rompuy. La quale va però adottata senza stravolgerne lo spirito, senza trasformare una procedura di cooperazione disciplinata in un provvedimento di polizia, con il sapore punitivo che piacerebbe a parte dell’elettorato tedesco. Anche perché le autorità europee non hanno dimostrato gran perspicacia negli scorsi anni: prima sono state disattente e cedevoli, anche nei confronti del bilancio tedesco; poi hanno disegnato percorsi di aggiustamento irrealistico e controproducente, come nel caso greco e portoghese dove l’Europa ha già ammesso che per risistemare le cose con riforme ben fatte e politicamente accettabili occorre più tempo.  

Nel testo di Van Rompuy c’è un concetto chiave da non trascurare: la «condivisione delle decisioni sui bilanci» va «commisurata alla condivisione dei rischi». A fronte dell’accentramento del controllo occorre cioè essere disposti alla solidarietà fiscale che è implicita, per ora, nel fondo salva-Stati appena varato ma che deve svilupparsi nel tempo fino a dar luogo a forme più accentuate di indebitamento comune come gli eurobond. (...)


mercoledì 17 ottobre 2012

Energia, il crocevia dei problemi (M.Deaglio, laStampa)


Da quanto tempo gli italiani non sentivano parlare di un progetto economico di durata decennale? La nuova strategia energetica nazionale, delineata nel Consiglio dei ministri di ieri, rappresenta il primo tentativo serio di uscire dalla deprimente quotidianità di un’economia in difficoltà, di affrontare grandi argomenti di interesse nazionale nel lungo periodo invece di spendere tutte le energie a discutere affannosamente di quanto dovrà o potrà succedere nei prossimi mesi.   (...) 

Appare, del resto, naturale per l’economia italiana che i discorsi veramente concreti di lungo periodo ripartano di qui, dalla messa a punto di una strategia energetica decennale, L’Italia ha un’economia moderna grazie alla sua passata eccellenza elettrica; a fine Ottocento, la creazione di sofisticate reti idroelettriche nell’Italia Settentrionale e in altre parti del Paese, liberò risorse dedicate all’importazione del carbone e le rese disponibili per investimenti interni; e nel giro di una quindicina d’anni, l’Italia si trovò in prima fila in quasi tutti i settori industriali, dall’automobile, alla chimica, all’industria tessile. 

Ripartire dall’energia significa porsi a un crocevia al quale fanno capo sia le problematiche dell’ambiente e dell’inquinamento, con le emissioni di anidride carbonica, sia i bilanci famigliari e quelli delle imprese, con le bollette energetiche, sia infine equilibri internazionali di tipo non solo economico ma anche geopolitico. Se l’Italia economica ha un futuro, questo passa attraverso un programma (il governo ha prudentemente usato il termine «strategia» per evitare confusioni con le programmazioni del passato ma di programma finirà poi per trattarsi) di tipo energetico che metta fine all’insopportabile immobilismo degli ultimi anni, nei quali il veto di interessi incrociati ha bloccato quasi tutte le iniziative, tranne quelle di uno sviluppo disordinato dell’energia solare, prodotta dai privati, che ha incrinato i delicati equilibri del sistema impedendo un uso efficiente delle centrali a turbogas. (...)
 

martedì 16 ottobre 2012

Dalla crisi siriana potrebbe nascere un Medio Oriente tutto nuovo (Carlo Jean su l'Occidentale)


La posizione della Turchia è particolarmente interessante. Ci coinvolge direttamente, dato che Ankara fa parte della NATO ed esercita un’influenza crescente in Africa Settentrionale e in Medio Oriente e che la sua politica estera dei “zero problems with the neighbours” va riformulata, si spera in senso favorevole all’Occidente. Essa non ha retto di fronte alla realtà. Oggi, la Turchia conosce tensioni, oltre che con Cipro, anche con Israele, Siria, Iran e Iraq. La sua presenza militare nel Kurdistan iracheno, il sostegno alla rivolta siriana e la violenta reazione all’arrivo sul suo territorio di alcuni colpi di mortaio sparati dalla Siria stanno accrescendo le tensioni con tutti. La politica finora seguita di tenersi fuori dalla mischia, per svolgere il ruolo del mediatore imparziale – tanto vantaggioso per i suoi interessi commerciali – non tiene più. Le scelte che deve fare Erdogan sono difficili. I dilemmi che lo confrontano non riguardano solo la politica estera, ma anche quella interna turca. Per la prima, teme che una vittoria della rivolta in Siria comporti l’autonomia delle province curde del Nord-Est del paese, già basi della guerriglia anti-turca del PKK, oggi particolarmente attiva dal Kurdistan iracheno.

Per contro, una vittoria di Assad porrebbe un Iran trionfante ai suoi confini meridionali, facendo fallire ogni progetto neo-ottomano. Sotto il profilo interno, un intervento diretto in Siria susciterebbe l’opposizione non solo dei kemalisti, preoccupati della crescente islamizzazione dell’AKP, ma anche degli Alevi (oltre il 10% dei turchi), setta sciita “cugina” degli Alawiti siriani, ma di cui Erdogan ha bisogno per avere la maggioranza necessaria per modificare la costituzione in senso presidenziale. La sua cautela è infine motivata dalla riluttanza degli USA e dell’Europa a impegnarsi in Siria. Inoltre, non è ben chiaro il motivo per il quale Assad non eviti di sfidare la Turchia. Taluni pensano che gli attacchi provengano dagli insorti, non dalle forze lealiste. I primi sanno che un intervento militare turco farebbe superare la situazione di stallo e determinerebbe il loro successo.

mercoledì 10 ottobre 2012

SALVIAMO LA RIFORMA. E LA NOSTRA CREDIBILITÀ (da laVoce.info)


La riforma Fornero delle pensioni è sicuramente migliorabile. Bisogna renderla più flessibile, risolvendo in questo modo il problema dei cosiddetti esodati ed esodandi. Bisogna anche porre rimedio a iniquità introdotte dai governi precedenti, come la tassa sulla totalizzazione di contributi versati ad amministrazioni diverse nel corso di una carriera lavorativa, coi cosiddetti “ricongiugimenti onerosi”, introdotta da Giulio Tremonti.

Ma sarebbe un grave e irreparabile errore oggi tornare indietro. La riforma varata dal Governo Monti ha rappresentato un punto di svolta nel dare un segnale di rigore e di attenzione all’equità intergenerazionale. L’Europa e il mondo intero guardano all’Italia, in questo momento difficile, come ago della bilancia verso la salvezza dell’euro e della coesione europea. E la riforma delle pensioni è stata fondamentale nel dare credibilità allo sforzo di risanamento del nostro paese. (...)


martedì 9 ottobre 2012

Rottamare Monti? No, Ma Necessario Affrontare Squilibri (Non Solo Economici)


Il brutto della politica è che spesso non si riesce a discutere del merito delle questioni. Nella velocità (inevitabile?) dell'informazione è più facile cedere alla semplificazione del titolo, piuttosto che perdere qualche minuto in più nel discutere degli argomenti. Oggi è parso che Stefano Fassina, dirigente del Pd, volesse "rottamare Monti", e su questa frase (titolo dell'articolo del Foglio) si è spesa la solita litania di dichiarazioni.

Ora, lo dico da "tifoso" di Monti (perdonatemi l'espressione colloquiale), quell'articolo - al di là del titolo e di alcune semplificazioni retoriche, e al di là dell'ipotesi politica di fondo per quel che riguarda il governo italiano - è molto interessante, per le problematiche che pone, non eludibili; a maggior ragione per chi - e siamo in tanti - ha visto e continua a vedere nel lavoro di Monti e nella possibilità di una qualche forma di prosecuzione di esso (con il professore o senza), una speranza per l'Italia e per l'Europa. 

Il tema non è nuovo,  e Fassina non è certo il primo a scriverne. In ogni caso l'articolo è da leggere integralmente (più sotto citazione e link); di seguito alcune mie note: 

1. il limite del discorso di Fassina mi pare stia nel semplficare la visione della congiuntura attuale, dicendo che "siamo in una nuova fase": se così fosse, sarebbe relativamente semplice uscire dalla crisi. Abbiamo gestito alcuni mali con "ricette di destra", oggi possiamo riprendere "ricette di sinistra". Purtroppo la situazione è più complessa: dall'emergenza debito - che c'è, in particolare per il nostro paese - non siamo ancora usciti. La relativa calma post-intervento BCE (in realtà per il momento solo annunciato, vedremo cosa succederà quando la Spagna chiederà aiuti) non è indice dell'uscita dalla crisi; la difficoltà di interventi di stimolo sul lato della domanda sta anche nel delicato equilibrio che comunque è necessario mantenere sul lato dei conti pubblici.

2. In realtà il discorso è anche di politica pura, oserei quasi dire di politica di potenza. Non possiamo non vedere che all'interno delle dinamiche della crisi economica si giocano anche fattori di potere più "classici", anche se speriamo di non dover vedere una guerra mondiale (con la "scusa" turco-siriana o altre più vicine o più lontane... l'Oriente è in forte tensione da tempo); in ogni caso quella a cui stiamo assistendo è anche una naturale (ma non per questo meno violenta) redistribuzione del peso geopolitico delle aree continentali. Vogliamo semplicemente stare a guardare, o peggio autoinfliggerci danni come con la guerra in Libia? forse è necessario tentare di sfruttare tutte le possibilità perché l'Europa sia protagonista di una nuova concertazione globale, quanto mai necessaria. Lo si è già scritto tante volte: un'Europa che si risana senza avere presente le dinamiche anche geopolitiche che attraversano questa crisi, rischia di ritrovarsi ancora più debole. 

3. Concertazione globale significa di fatto regolamentere (ma non cancellare) il "braccio di ferro" fra politica e mercato. Questo non deve scandalizzare: la tensione può essere positiva se non vince completamente nessuna delle due parti. La vittoria completa della politica nel XX secolo ha significato l'eta dei totalitarismi; ma la vittoria completa del mercato vuol dire rischiare di mettere a repentaglio coesione comunitaria, stabilità politica e diritti sociali, che sempre più fanno parte integrante della nostra identità collettiva (riformulabili forse, ma non rinnegabili). Per questo il braccio di ferro deve continuare. Con stop and go inevitabili, con "ricadute protezionistiche" che temo vedremo ben presto sempre più marcate, ma gestibili se la direzione a favore di una sempre più forte integrazione politica sarà costante a livello continentale.

Il futuro delle nostre società è tutto da inventare: per questo non possono bastare le soluzioni rassicuranti di un tempo; ma certo non serve a nessuno nascondere i problemi dietro la maschera di litigi casalinghi e molto effimeri.

Francesco Maria Mariotti

Segue l'articolo di Stefano Fassina

venerdì 5 ottobre 2012

Solidarietà "Obbligata" e Azione Diplomatica: la Via Stretta Ma Necessaria


Per quanto comprensibile sia la posizione della Turchia, la Nato non può farsi trascinare da Erdogan in un'avventura che rischia di infiammare il Medio Oriente con conseguenze imprevedibili. In questa occasione - come in tante altre che in politica estera si presentano periodicamente - vi è una sorta di contraddizione che dobbiamo saper gestire: quella fra la "solidarietà obbligata" ad un alleato, e la distanza politica - o addirittura dissenso - che vi possa essere con il relativo governo.

Volendo vedere una lontana analogia, spesso - molto più spesso di quanto si pensi - la tensione fra Stati Uniti e Israele ha raggiunto livelli molto alti, paradossalmente proprio perché alleati strettissimi che ragionavano - e ragionano - con stili di politica ( e di diplomazia) diversi.

Non possiamo lasciare la Turchia da sola; al tempo stesso sembra difficile potersi fidare pienamente di Erdogan e delle scelte che sta portando avanti in un'ottica che sembra indicare uno spregiudicato protagonismo, una volontà di ritrovare importanza e capacità di influenza, a spese di più tradizionali rapporti di amicizia (vd, per esempio proprio il legame oramai in crisi con Israele). 

Erdogan forse non vuole arrivare alla guerra aperta con la Siria, è comunque consapevole dei gravi rischi che un'opzione militare porta con sé, a partire dal vantaggio che ne avrebbero gli indipendentisti curdi; epperò è bene che gli alleati della Nato siano capaci di far sentire una solidarietà molto "prudente" e "convincente"; di fronte al mondo è necessario ribadire senza se e senza ma l'amicizia con Ankara; ma nei contatti che in queste ore si svolgono fra le capitali dell'Alleanza atlantica sarà il caso che sia fatta sentire chiaramente la ferma volontà di non andare oltre il limite. 

Questo può avvenire in molti modi: come si scriveva poche ore fa, un "braccio di ferro controllato" può essere anche durissimo e prevedere battaglia, ma comunque essere limitato nei suoi effetti, se si è bravi a gestirlo... Ma è una situazione difficilissima.

Attenzione anche a proposte come zone-cuscinetto e simili: teoricamente "quadrano il cerchio" fra interventismo necessario e "sforzo limitato", ma sono sempre insidiose, e in realtà spesso sono contrassegnate semplicemente da "guerra invisibile".

Come ripeto dai tempi dell'assurda guerra in Libia, la guerra bisogna saperla fare. Altrimenti la cinica diplomazia, fredda e calcolatrice, deve ancora avere la meglio.
Per il bene di tutti noi.

giovedì 4 ottobre 2012

Siria - Turchia, se entra in campo la NATO (Aspenia)


L’apertura di un vero fronte militare lungo il confine tra Siria e Turchia segna un possibile punto di svolta nella crisi siriana: è ora possibile (anche se tutt’altro che certo) un coinvolgimento diretto di alcuni paesi occidentali nel conflitto. In particolare, la NATO può essere formalmente attivata a difesa della sicurezza di un paese alleato – la Turchia appunto – e ciò aprirebbe la strada anche ad eventuali operazioni, su vasta scala, con la partecipazione americana. È chiaro che un simile scenario cambierebbe radicalmente la natura stessa del conflitto in corso sul territorio siriano, e in qualche modo consentirebbe di aggirare il blocco rappresentato dal veto russo e cinese nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU. (...)

La Turchia è in guerra con la Siria

Formalmente c'è l'ok del parlamento turco; ora si tratta di capire se nei fatti Erdogan porterà avanti l'azione bellica, o se l'azione della Nato - che ha giustamente dato seguito  immediato alla richiesta di riunione e di "solidarietà" proveniente dalla Turchia - porterà a un "governo" della situazione. 

La speranza è che la drammatica escalation si trasformi in un "braccio di ferro controllato", magari durissimo, ma limitato.

Non spaventiamoci se in questi giorni vedremo azioni di battaglia: si dovranno valutare  tutti gli elementi del contesto per capire quanto gravi saranno gli sviluppi. 

A volte annunciare la guerra può significare riuscire a evitarla, o almeno a controllarla. 
A volte... Speriamo sia una di queste.

FMM



La politica estera turca sta diventando avventurista mentre pochi anni fa puntava allo zero problemi con i vicini: oggi ci sono invece molti problemi con Israele, dopo l'assalto alla flottiglia della Mavi Marmara, con l'Armenia (dopo il riavvicinamento con l'Azerbajan e la fine dei colloqui di pace), con Cipro e la Ue con cui sono congelati i rapporti a causa del semestre di presidenza cipriota e al rifiuto di Ankara di aprire i suoi porti e aeroporti alle navi e aerei ciprioti. A tutti questi problemi, che non sono pochi, si è aggiunta la nuova tensione esplosa tra Siria e Turchia dove soffiano venti di guerra: Ankara, in versione neo-ottomana, ha risposto mercoledì sera bombardando "obiettivi siriani" lungo il confine a un colpo di mortaio sparato dal territorio siriano (...) di Vittorio Da Rold - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/wBzx8

La profonda crisi attualmente in corso in Siria, con lo scontro tra i sostenitori di Assad e l'opposizione, obbliga, tuttavia, la Turchia ad agire dopo attente riflessioni, valutando con estrema cura un'eventuale opzione militare: Ankara, pur beneficiando, nel breve periodo, del crollo di un competitor militare, teme di perdere un importante partner commerciale ed un baluardo contro l'indipendentismo curdo nell'Iraq settentrionale (che, in caso di successo, ri-attiverebbe quello nel sud-est turco). Una possibile “balcanizzazio... ne” della Siria, con l'approfondimento delle lacerazioni tra le varie anime del paese (sunniti, drusi e l'elite alawita attualmente dominante) potrebbe portare ad una deriva integralista e favorire l'ascesa al potere di gruppi islamici radicali: per la Siria si aprirebbe un destino non-dissimile dal Libano o dallo stesso Iraq e la Turchia vedrebbe ai suoi confini un ulteriore focolaio di crisi.Il regime laico e nazionalista di Assad, del resto, ha garantito stabilità, evitando una deriva integralista e teocratica sul modello iraniano: un'eventuale atomizzazione post-guerra civile ne farebbe uno stato fallito stile Afghanistan, Sudan o Iraq, humus ideale per il terrorismo internazionale. 
(ANSA) - ROMA, 4 OTT - "Fino ad ora si è rimasti nell'ambito dell'articolo 4 sul piano della concertazione politica fra paesi dell'Alleanza, ma anche nel Consiglio Nato di questa notte è stato riaffermato il principio della indivisibilità della sicurezza, al quale i membri dell'Alleanza tengono molto". Lo dice il ministro degli Esteri Giulio Terzi, convinto che ''il governo di Ankara sia perfettamente legittimato a chiedere'' l'autorizzazione al parlamento ad operazioni militari oltre confine.

La Turchia dopo dieci anni di governo del partito islamico moderato Akp (Partito della Giustizia e del Progresso) guidato da Recep Tayyip Erdogan, sta giungendo ad un punto di svolta. Secondo le regole costituzionali, alle elezioni del 2014 l’attuale Primo Ministro dovrà cedere ad altri la guida del governo. Erdogan punta per due motivi a una profonda revisione della Costituzione imposta dai militari golpisti nel 1982. Carta fondamentale, contraddistinta da un forte autoritarismo, da un ruolo ancillare dei partiti (riammessi al gioco politico solo nel 1985 con il grande Turgut Ozal, vero iniziatore della modernizzazione dell’economia del paese e iniziatore sfortunato del dialogo con la minoranza kurda) e da un predominio incontrastato dell’esercito – attraverso il controllo della magistratura e, soprattutto, il controllo del Consiglio di Sicurezza Nazionale. Qui i militari spadroneggiavano, con i pretesti della minaccia kurda all’unità nazionale turca e con quello della difesa ad oltranza del patrimonio laicista, “legato” alla Nazione da Mustafà Kemal Atatürk.
(E intanto in LIbia...FMM)

BENGASI - E’ carica di tensioni e conflitti la Libia ancora senza governo e impaurita dopo la morte dell’ambasciatore americano a Bengasi lo scorso 11 settembre. Si è esaurito da un pezzo l’entusiasmo ottimista emerso dalle elezioni parlamentari del 7 luglio. I timori che avevano accompagnato la campagna elettorale, incluso quelli delle lotte tra milizie e di aggressioni violente da parte degli estremisti islamici, allora si rivelarono esagerati. Ma oggi sono tornati tutti all’ordine del giorno. E con gli interessi. Anche l’ondata di manifestazioni (si calcolano oltre 30.000 in piazza) che due settimane fa ha visto la società civile di Bengasi mobilitata nel chiedere lo scioglimento delle milizie più estremiste, inclusa Ansar El Sharia accusata da molte parti di essere implicata direttamente nella morte dell’ambasciatore Usa, non va sopravvalutata. Per molti aspetti appare più come un gesto di paura collettiva da parte delle componenti più sane che l’anno scorso scatenarono la rivolta in Cirenaica, che non una svolta concreta per il cambiamento reale delle cose. Torna l'indipendentismo in Cirenaica (Cremonesi sul Corriere)

Venti di guerra

Sale di nuovo la tensione tra Siria e Turchia. Cinque persone sono rimaste uccise e tredici ferite da colpi di mortaio sparati dalla Siria e caduti in territorio turco nel villaggio di Akcakar, nella provincia sudorientale di Sanliurfa che ospita la maggior parte dei profughi siriani. Tra le vittime a Akcakar anche quattro bambino di sei anni e una donna. E, secondo altre fonti, tra i morti ci sarebbero anche poliziotti. In seguito all'attacco, per tutta risposta, la Turchia ha colpito obiettivi in Siria. Ma non solo. La Turchia ha chiesto e ottenuto una riunione urgente della Nato, secondo cui gli attacchi «sono una flagrante violazione della legge internazionale». E ne chiede l'immediata cessazione. Intanto Damasco assicura che ha avviato «un'indagine per determinare l'origine del colpo di mortaio». E dopo aver fatto le condoglianze al popolo turco, invita «stati e governi» ad agire con saggezza e razionalità. La Casa Bianca: «Siamo accanto ai nostri alleati turchi».(...)