martedì 29 maggio 2012

Europa, muoviti per l'Emilia

E' in momenti come questi che una comunità deve farsi sentire come tale: sarebbe bello se l'Europa riuscisse a muoversi esercitando solidarietà verso quanto sta succedendo in Emilia, non solo dal punto di vista "contabile" ("scontando" le spese per la ricostruzione dai nostro conti e dai nostri obiettivi di pareggio bilancio e simili).
Dovremmo vedere gli eserciti e i corpi analoghi alla Protezione civile di Francia, Spagna, Germania, e di tutte le altre nazioni della UE; vederli qui, con noi, a gestire l'emergenza; e il dopo, la ricostruzione. 
In un momento storico come questo - in cui l'Europa appare lontana e fredda, e (a torto) causa di molte sofferenze - un segnale forte e concreto di condivisione sarebbe importante. E sarebbe un primo esempio, capace di generare - nei fatti - una politica di solidarietà.
Ricostruire l'Italia, ricostruire l'Europa.

venerdì 25 maggio 2012

Draghi, Caffè, i giovani (da Linkiesta)


Davanti alla platea che lo ascolta proprio nel giorno del ricordo di Federico Caffè, pioniere della divulgazione del pensiero di Keynes, il presidente della Banca centrale europea ricorda le debolezze del paradigma keynesiano, che “sminuisce il ruolo della moneta ed esclude l’ipotesi del default”. A coloro che per superare la crisi finanziaria invocano una forte immissione di liquidità da parte dell’istituto monetario di Francoforte, e chiedono di adottare una strategia di investimenti in deficit per alimentare la domanda interna, Draghi risponde illustrando le conseguenze di una simile politica: “Indebitamento esponenziale degli Stati e perdita della loro credibilità agli occhi di investitori e creditori, drastica diminuzione del valore della nostra moneta, aumento della spirale inflazionistica che nel medio periodo provoca una ricaduta negativa sul piano occupazionale e sociale. È la storia degli anni Settanta, che all’inizio del decennio seguente ha determinato la spinta a cambiare strada”.


giovedì 17 maggio 2012

Stati Uniti Ieri, Europa oggi


“Quando furono creati gli Stati Uniti, alla fine del Settecento, le condizioni dell’America di allora erano simili a quelle dell’Europa di oggi”, ha osservato in un’intervista alla Stampa. Dopo la Guerra d’indipendenza americana dal Regno Unito, durata dal 1775 al 1783, in nord America le “colonie” divennero “stati” ma non ancora veramente “uniti”. Erano tredici, tutti con il potere di battere moneta, contrarre debito e decidere le loro politiche fiscali, a fronte di un governo federale debole come stabilito nella prima Costituzione, gli Articles of Confederation. E tutti e tredici indebitati a causa dello sforzo bellico. Poi però “i padri fondatori, che in larga parte erano creditori dei vari stati, scrissero la Costituzione proprio allo scopo di correggere questo vizio di fondo – ricorda il Nobel per l’Economia – Il governo centrale si fece carico dell’intero debito dei tredici stati, che in cambio persero l’autonomia economica assoluta che avevano avuto fino a quel momento. Washington ed Hamilton alzarono le tasse per saldare i debiti, e cominciarono a emettere bond federali. Per salvarsi, l’Europa dovrebbe imparare la loro lezione”.
 

venerdì 4 maggio 2012

W Hollande? Sì, Ma...

E' giusto oggi sperare in una vittoria di Hollande, in Francia, perché è necessario che ci sia un cambiamento, soprattutto in quel "direttorio" franco-tedesco, che troppo ha esercitato un potere che è parso a molti arrogante ed eccessivo

Al tempo stesso invito a non nutrire eccessivi sogni sulle possibilità del candidato socialista, laddove diventasse realmente Presidente, come mi auguro; non perché lui abbia particolari limiti personali; ma perché il contesto internazionale è molto complesso, e Hollande ha dato l'impressione in alcuni casi di cedere a qualche tentazione "nazionalista" (lo dico con tanto di virgolette, si badi). 

Hollande non potrà probabilmente mantenere tutte le promesse che ha fatte (d'altro canto, anche Mitterand dopo i primi entusiasmi, cambiò la sua politica...), e ho l'impressione che se il candidato socialista non corregge alcune dichiarazioni anti-finanza, i mercati potrebbero reagire non benissimo.

Certo, rimane assolutamente vero che l'attuale politica europea è da cambiare in profondità: dobbiamo attivare una proposta politica più ampia, eventualmente cambiare lo statuto della BCE (senza però scalfire la sua indipendenza, consiglio questo bell'articolo di Zingales prima di lasciarci andare a pericolose tentazioni); certo dobbiamo fare tutto il possibile per attivare la crescita.

Ma questo non possiamo farlo cedendo a una versione protezionistica dell'Europa, o peggio dei singoli Stati; né possiamo rinnegare le giuste cure di rigore che abbiamo cominciato a fare; rivederle sì, temperarle certo; rinnegarle no.

L'Europa eventualmente potrà prendere in considerazione misure di spesa- o meglio di investimento, ma gli Stati hanno già speso troppo. Troppo, comunque. Per questo il Fiscal Compact può non essere la pietra che ci affonda, ma la muraglia che ci difende. 

Speriamo che a Parigi vinca Hollande, ma io spero anche che non parli "solo francese", e non faccia scappare chi gli deve - e ci deve - prestare denaro.  Perché non possiamo costruire un'alternativa a un rapporto dialettico con i mercati: giusto non dipendere in toto da essi, ma sbagliato - e pericoloso! - immaginare una politica che si avventura in un'orgogliosa - ma alla fine poco liberale e poco democratica! - "autonomia".

Francesco Maria Mariotti

giovedì 3 maggio 2012

martedì 1 maggio 2012

I meriti di Monti, le speranze facili, le speranze difficili

Molte voci sembrano ripetere che l'esperienza del governo Monti stia subendo una fase di declino; cominciano a essere troppe, e mi paiono francamente un po' frettolose. Non dobbiamo certo nasconderci i limiti di un'azione che ha dovuto  fare i conti con le tensioni del paese, e le idee non sempre coerenti che segnano le proposte che piovono da una parte all'altra dello schieramento dei sostenitori (e dei contrari al governo, che comunque suggeriscono in abbondanza). Anche su questo blog si è sottolineato che rivoluzioni troppo annunciate non potevano compiersi tanto facilmente.
Ma meglio ricordare che:
1. l'Italia oggi non può permettersi un altro governo, né le elezioni anticipate, perché siamo ancora in piena crisi economica
2. Questo governo ha il merito di restituire la parola alla politica; al di là della discussione piuttosto noiosa "tecnica o politica?", nei fatti questo governo ha determinato con nettezza alcuni obiettivi, ma si è posto anche in ascolto in primis dei partiti e del Parlamento; anche per quanto riguarda la riforma del lavoro, sotto alcuni aspetti è stato dato maggior peso alla richiesta di modifiche provenienti dalla forze politiche, piuttosto che al colloquio con le forze sociali, comunque ascoltate nelle settimane precedenti. Questo passaggio in particolare non poteva che creare forti tensioni: di fatto si è messa in discussione la costituzione materiale di questo paese che prevedeva una centralità sindacale nei passaggi legislativi di riforma del lavoro. Una "ferita" - perché comunque una ferita è stata - che va ripresa in futuro, rielaborata, e superata, perché forse superato è quel modello di concertazione. Forse non del tutto, ma certo in parte sì. I dubbi che in molti hanno espresso sulla posizione della Camusso contro l'intervento di Fornero in Alenia sono un segno che dovrebbe far capire ai sindacati confederali - che dal punto di vista della dinamica "classica" delle trattative potevano avere qualche ragione a lamentarsi dell'azione del Ministro che andava al di là dei luoghi deputati della concertazione - che quella concezione non sta più in piedi, che i rapporti classici di mediazione sociale sono saltati: non lo diciamo con piacere, perché la grande confusione sotto il cielo della politica e della società aumenta il disagio dei cittadini, e la sofferenza di lavoratori e imprese; abbattere vecchi riti politici è forse giusto (anche se a volte viene fatto con troppa facilità e con troppa disinvoltura, va detto), ma certo lascia scoperte molte domande di rappresentanza. Epperò è un dato di fatto che quelle forme non riescono più a rappresentare tutti. Anche per questo l'azione di Monti ridà parola alla politica: perché la pone di fronte all'ineluttabilità di nuove scelte.
3. Sull'IMU si potrebbero dire molte cose; e sicuramente vi sono storture pesanti che vanno corrette, assurdità che il Parlamento dovrà adoperarsi  a correggere. Diciamo però tutta la verità: l'Imu è nata anche come "patrimoniale non detta, non esplicita", di fronte a necessità di cassa urgenti, e contrarietà a una vera e propria patrimoniale che forse sarebbe stata - da un certo punto di vista - più "equa".
4. Prendere sul serio i cittadini. La piccola ma significativa rivoluzione è stata introdotta un po' in silenzio, ma rispetto alla retorica che spesso accompagna i "referendum-mai-messi-in-pratica" potrebbe essere una svolta significativa: l'idea di consultare i cittadini prima di affrontare un provvedimento può essere un approccio realmente riformatore, un ascolto sincero. Ovviamente dipende anche dall'uso che verrà fatto di questo strumento in futuro. Ma certo, in un paese in cui si fanno referendum per pura politica, sapendo magari che non verranno applicati (vd. finanziamento pubblico dei partiti e quelli recenti sull'acqua, o la raccolta di firme sull'abolizione della legge elettorale), mostrare un volto più serio può essere importante. Un governo non rinuncia alla propria potestà, ma ascolta. Se all'ascolto seguiranno fatti concreti, questa sarà una risposta importante, e in netto contrasto con il populismo paternalista ("ti faccio votare sì, perché ti faccio sentire più importante, tanto poi non cambia nulla") di molti referendari.
5. Credibilità. Questo il punto principale; con il governo Monti l'Italia riacquista credibilità e capacità di azione nei confronti degli altri paesi, in particolare nell'azione in Europa. In un momento di gravissima crisi economica generale, essenziale è che chi dice Crescita non sia attaccabile sul piano della serietà e dell'attenzione ai conti pubblici. E' vero, di fronte alle cifre della disoccupazione è facile riprendere soluzioni (presunte) keynesiane, ma tali ricette non sono affatto così semplici e risolutive come può sembrare, non solo per i vincoli economici che ci siamo dati (che vanno eventualmente corretti, ma non annullati), ma anche perché non funzionano esattamente come un tempo (si pensi al fattore "grandi opere" di cui a volte non si stima come sia molto relativa - visto il peso della specializzazione necessaria - la ricaduta in termini di occupazione). Naturalmente vanno pensate a livello europeo manovre nuove; ma non possiamo illuderci con "speranze facili"; dobbiamo sapere che la ripartenza dell'economia non sarà né semplice, né veloce.

Quindi dobbiamo ancora avere pazienza; è una situazione durissima, ed è bene che le forze politiche mettano in atto tutte le possibilità di mediazione di cui sono ancora capaci per aiutare da una parte questo governo a scegliere soluzioni eque per i drammatici problemi che ci troviamo ad affrontare, dall'altra i cittadini a capire e comprendere come in questo momento sia necessaria una "speranza difficile", che resista alle tentazioni di grandi mosse risolutive, ma che crei le condizioni per riformare a fondo il nostro sistema.

Va quindi rinnovata la fiducia a un Governo che  - pur con molti difetti e anche gravi errori (come ad esempio nella vicenda dei cosiddetti "esodati") - è stato capace di fare molto, e che può segnare una strada per il futuro dell'Italia. Purché su questa strada ci si incammini con decisione, tutti assieme.

Francesco Maria Mariotti