venerdì 30 novembre 2012

La Palestina Diventa "Stato Osservatore" dell'ONU: Passo Avanti?


L'odierna decisione dell'ONU può essere valutata in diversi modi: dal punto di vista ideale è sostanzialmente corretta, e benvenuta nel momento in cui tende a voler rafforzare - in teoria - la parte moderata delle forze palestinesi, rappresentate da Abu Mazen. il problema è che in questo caso - avviene spesso, per la verità - l'orizzonte diplomatico e quello più "realpolitik" possono scontrarsi: il riconoscimento della Palestina - contravvenendo alla dimensione bilaterale degli accordi di Oslo - può legittimare un abbandono delle trattativa da parte di Israele, soprattutto se alle prossime elezioni Netanyahu uscisse vincitore; ma soprattutto è da capire se parlando di Palestina parliamo ancora effettivamente di un solo stato o se oramai in campo abbiamo due entità più o meno separate; e ancor più rilevante è capire  - in questo contesto - se la parte che si vorrebbe aiutare (Abu Mazen) è in grado di reggere un eventuale "scontro" con Hamas, o comunque in generale una "competizione" anche solo dal punto di vista politico e diplomatico. Detta brevemente: chi rappresenta effettivamente - non in termini ideali, ma in termini di concreto monopolio della forza e controllo politico, tanto per parlarci chiaro - l'interesse, le speranze, le possibilità di futuro dei palestinesi? 

Se da questo voto Abu Mazen traesse realmente la forza per "riprendere" la guida di tutto il popolo palestinese e del processo di pace, allora l'evento di oggi sarà stato un vero passo in avanti. Ma è purtroppo anche possibile uno scenario molto più confuso e conflittuale, e allora la giornata di oggi potrebbe rivelarsi una amara illusione.

Festeggiamo questo voto, e anche la capacità di muoversi del governo Monti. 
Ma i dubbi di Israele e USA non sono infondati. 
Ed è bene non illudersi sul futuro della pace.

Francesco Maria Mariotti

(segue rassegna stampa)
È stata una decisione meditata, ponderata, sicuramente molto sofferta. L'Italia, alla fine, ha deciso di votare sì all'accoglimento della Palestina all'Onu con lo status di Osservatore, esattamente come il Vaticano. Un sì che si raccorda con quello della stragrande maggioranza dei Paesi dell'Unione europea, e che dimostra l'impegno di voler giungere-superando ogni ostacolo- ai due Stati, Israele e Palestina, che vivano l'uno accanto all'altro in pace e sicurezza. Non è stato facile, né agevole, ma è stata una decisione autonoma e fiera. Si sapeva in anticipo che l'alleato americano si sarebbe opposto, e che la Gran Bretagna si sarebbe probabilmente astenuta, come la Germania che è ovviamente sempre prudente e guardinga quando si tratta di votare provvedimenti che riguardino Israele. Però il passo compiuto dal nostro governo è importante: perchè non significa uno schieramento di parte come accadeva nel passato, quando l'Italia era sempre con i palestinesi; e perchè Roma si è impegnata ad evitare che si possa facilitare il ricorso alla Corte penale internazionale per problemi che riguardano lo Stato ebraico. La telefonata del presidente del Consiglio Mario Monti al premier israeliano Benjamin Netaniahu ha avuto proprio l'obiettivo di spiegare che le eccellenti relazioni tra Italia e Israele non subiranno alcuna modifica. (...)


“Il premier italiano Mario Monti ha parlato con me e mi ha chiesto della risoluzione. Io gliel’ho spiegata e gli ho assicurato che prenderò in esame tutte le richieste di cautela che mi faceva, e lui mi ha detto che avrebbe preso una decisione il giorno del voto”. Così Abu Mazen ha anticipato ieri sera con quanta attenzione il presidente del Consiglio Mario Monti stesse seguendo ormai da giorni la questione del voto dell’Italia sull’ammissione della Palestina all’Onu come. Monti ha telefonato lunedì ad Abu Mazen per avere informazioni sulle intenzioni dell’Anp, mentre ancora doveva decidere se scegliere l’astensione o il voto favorevole. Alla fine l’Italia ha deciso: non ha votato “no” come chiedeva il governo di Israele, non si è astenuta, come pure hanno fatto i paesi europei (vedi Germania) più vicini a Gerusalemme. Ma ha scelto il “si”, che la schiera dalla parte di Francia, Spagna e dei nordici tradizionalmente più impegnati a favore dei palestinesi.
Cosa ha pesato nella correzione di rotta che il governo Monti nei mesi, progressivamente, ha imposto alle scelte che erano state del precedente governo, quello di Silvio Berlusconi? Non sono state marginali le posizioni politiche del Pd e dell’Italia dei Valori (nelle ultime ore tutte contrarie all’astensione e favorevoli al “si” ad Abu Mazen). “Ma cosa ci ha indotto a formulare le nostre scelte è quello che è avvenuto sul terreno, con la guerra a Gaza”, dice un diplomatico che ha seguito il processo decisionale del governo italiano. “Dopo Gaza e l’apparente successo politico di Hamas, l’unico modo per non sabotare del tutto i tentativi politici di Abu Mazen era quello di sostenere la sua idea che la Palestina potesse essere presente alle Nazioni Unite”. In questo l’Italia di Monti ha avuto mille cautele (...)


Che il riconoscimento dell'Onu sia andato alla Palestina di Abuz Mazen dovrebbe costituire per Israele un vantaggio. Abu Mazen non si presenta stringendo un ramoscello d'ulivo ma non brandisce neppure la pistola al fianco come fece Arafat all'Onu nel lontano novembre 1974, presentandosi con la kefiah a scacchi, l'unico oggetto di marketing di successo palestinese passato dai rivoluzionari al collo di manager giovanilisti. Il leader di Ramallah è un signore in giacca e cravatta, laico e moderato per gli standard della regione. Per quale motivo non dare una chance agli arabi più ragionevoli? 

di Alberto Negri - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/Yinyq

Sul voto italiano pesa la logica della coalizione e l’indebolimento di Abu Mazen, ma si fanno anche calcoli sulla più grande paura israeliana: che i palestinesi possano trascinare il governo di Gerusalemme davanti alla Corte penale internazionale. Gli esperti legali dell’Onu consultati dal Foglio dicono però che si tratta di un’opzione puramente teorica. Prima di avere accesso alla Corte dell’Aia lo stato palestinese deve aderire al Trattato di Roma, il quale concede diritti e implica doveri, ad esempio dotarsi di un sistema legale nazionale che rispetti certi standard. Cosa che la Palestina non ha. Quando il rappresentante palestinese all’Onu dice che “non andremo subito alla Corte penale” non fa una dichiarazione politica, ma ammette uno stato di fatto. Nessun automatismo garantisce alla Palestina potenziata dal voto di denunciare Israele al Tribunale internazionale, e nulla dice che gli eventuali reati siano perseguibili retroattivamente. Quello della Palestina è un piccolo passo nella strada che porta all’Aia, non l’attivazione di un meccanismo inesorabile. Per questo Netnayahu dice che il voto dell’Onu “non cambia nulla”.

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