giovedì 12 gennaio 2012

La Musica è Cambiata, in Europa


La musica è cambiata, in Europa: l'azione diplomatica di Monti, che ha smesso decisamente i panni dello scolaretto che gli si volevano attribuire, ha determinato l'inizio di un processo che - sia pure difficilissimo - può portare ad avere un'Unione più forte, realmente consapevole - anche facendo tesoro degli errori commessi - della posta in palio: l'Europa non è più solo un direttorio franco-tedesco; ora anche noi possiamo giocare il nostro ruolo pienamente.

Di seguito l'intervista di Monti a Die Welt, un brano tratto dall'ultimo libro di Carlo Azeglio Ciampi, un'intervista al ministro Terzi di Sant'Agata, e altre riflessioni.

Francesco Maria Mariotti

(...) Sono convinto che i rischi per il mio Governo non vengano dall’Italia».

Da dove dunque? 
Dall’Europa


Oplà. Pensavo che i problemi dell’Italia fossero made in Italy.
«Quanto proponiamo e chiediamo agli italiani sono pesanti sacrifici. Sono necessari per avviare le riforme che conducono a una nuova e maggiore crescita. Per questo sono necessarie le liberalizzazioni del mercato del lavoro che richiederanno i sacrifici di molti cittadini. Gli italiani, come indicano i sondaggi, lo hanno chiaramente accettato. Il problema è però che l’Unione Europea, malgrado questi sacrifici, non ci viene incontro, in termini di una riduzione del tasso di interesse. I sacrifici fatti dagli italiani pagheranno in tre, cinque, dieci anni, per i nostri figli. E purtroppo constatiamo che questa politica in Europa non gode del riconoscimento e apprezzamento che le spetta obiettivamente. Se gli italiani nel prossimo futuro non vedranno i risultati della loro disponibilità per le riforme e il risparmio, sorgerà –come già si profila - una protesta contro l’Europa e anche contro la Germania quale promotore dell’intolleranza Ue, e contro la Banca Centrale. Chiedo agli italiani sacrifici onerosi – ma li posso chiedere se si profilano dei vantaggi».


Questi vantaggi potrebbero farsi attendere. Il Suo Governo è in una posizione difficile: è condannato al successo, gli italiani lo vogliono. Se però Lei avrà successo sarà molto doloroso a causa di tali sacrifici. 
«Non vedrei nessun successo del mio Governo nel fatto che gli italiani accettino la necessità di sacrifici. Attaccheremo gli albi, le corporazioni il mercato del lavoro incrostato. Ma lo posso vendere ai cittadini, che ne soffriranno, se porta a una nuova crescita. Ma non posso avere successo con la mia politica se non cambia la politica dell’Unione Europea. E se non succede, l’Italia – che è sempre stata molto filoeuropea – potrebbe rifugiarsi nelle braccia dei populisti».

Oggi l’Ue è condotta dall’asse Berlino-Parigi. Dal punto di vista dei rapporti di potere, è bene che sia così? Oppure deve cambiare qualcosa in questo dominio germano-gallico? 
«La buona cooperazione del tandem franco-tedesco, che oggi è un tandem tedesco-francese, è un presupposto necessario per il futuro dell’Europa. Ma questo non basta, tanto meno in un’Europa dei 27. Credo che questo lo sappiano anche a Berlino e a Parigi. Credo che tutta l’Europa benefici dell’armonia tedesco-francese».
 
Da cui il resto dell’Europa è escluso. Questo dovrebbe essere un buon equilibrio? 
«Se Germania e Francia svolgessero un ruolo di impulso, allora andrebbe anche bene, perché in tal caso ne beneficerebbe l’intera Europa. Allora però, come in passato, entrambi i paesi dovrebbero comportarsi in modo da coinvolgere e non da escludere altri Stati. Il rischio è che si verifichi proprio la seconda ipotesi. Certamente, i due Stati che guidano l’Europa non dovrebbero essere troppo autoritari. Infatti, qual è stato il peggior errore nell’UE negli ultimi dieci anni? Era il 2003 quando Germania e Francia non rispettarono i criteri di Maastricht: è stato un errore enorme! Quindi, i due paesi non dovrebbero scandalizzarsi più di tanto. Pertanto ho ritenuto positivo il fatto di ricevere l’invito da parte della signora Merkel e del signor Sarkozy a partecipare ad un nuovo dialogo sistematico. Un’Europa bipolare sarebbe in realtà una cattiva Europa. I due farebbero un grave errore se pensassero di poter dominare da soli l’Europa. L’Europa deve avere più centri. E l’Italia è uno di questi».


Ma devo essere più chiaro: l'Italia vuole e deve tornare ad essere un attore centrale nell’Ue? 
«In effetti è quello che vogliamo. E ritengo che molti in Europa siano dell’opinione che l’Italia oggi in Europa non svolga il ruolo che le spetta veramente. Siamo un paese forte e orgoglioso, ed abbiamo un’economia essenzialmente efficiente. Abbiamo sempre avuto un rapporto di rispetto reciproco con la signora Merkel, ho sempre avuto un rapporto straordinario con il suo Ministro delle finanze Schäuble. Deve sapere che io ho sempre lavorato per un’Italia che somigliasse il più possibile alla Germania. Ho sempre voluto un’Europa della concorrenza, che si impegnasse il più possibile per l’idea di un’economia di mercato sociale, che proviene da Ludwig Erhard. Come vede, sento molto il tedesco. Premesso ciò, dico: l'Italia può svolgere e svolgerà un ruolo maggiore in Europa».


Lei ha detto di pretendere dalla grande Germania maggior rispetto di fronte alle istituzioni dell’Ue. Cosa intende dire? 
«Prendiamo l’esempio del famoso incontro di Deauville tra la signora Merkel e il signor Sarkozy. Sicuramente è stato creativo. Ma ciò che è stato discusso in quell'occasione non è stato assolutamente applicato conformemente alle regole dell'Ue. È stata un’azione individualista e non coerente. Di fondamentale importanza per l’Europa è l’assoluto rispetto delle regole. E ciò vale in particolare proprio per i Paesi più forti. Se i Paesi più forti violano le regole – come ha fatto la Germania nel 2003 – poi non ci si può aspettare che gli altri le rispettino. I Paesi più forti hanno una grande responsabilità. In Europa non l’hanno sempre rispettata fino ad ora. E questo lo rivendicheremo». (...)

In Italia, come in Germania, i cittadini hanno creduto per lungo tempo nell’Europa unita, poiché si contrapponeva chiaramente con il periodo delle guerre e delle distruzioni che li precedeva. Ai giovani questo non basta più come giustificazione dell’Ue. L’Europa ha bisogno di una nuova lettura? 
«Sì. Non può più essere solo una questione di guerra e pace, anche se io ritengo che senza il processo di riunificazione europea non sarebbe stato possibile escludere conflitti e guerre. Oggi si tratta soprattutto di questioni relative all'identità e al benessere. Per essere chiari: l’Unione europea è l’unica risposta pensabile e solida ai problemi che pone la globalizzazione. Non esiste un Paese in Europa che sarebbe in grado di gestire le sfide della globalizzazione da solo – nemmeno la Germania».


Come giudica il ruolo della Germania in Europa? Cosa pensa della Germania? 
«Amo molto la Germania. Soprattutto per le sue enormi conquiste, per la sua economia di mercato sociale. È un modello straordinario. La Germania lo ha sviluppato e poi lo ha esportato in Europa, e questo in tre tappe: i Trattati di Roma del 1957, il Trattato di Maastricht e poi il Trattato di Lisbona. La Germania è il paese che ha dato di più all’Europa – cioè un modello di società funzionante e ben equilibrato». (...)


La mancata realizzazione di questo "centro di governo" ha determinato quella che fin dall'inizio ho denunciato come una zoppìa del sistema, una asimmetria istituzionale che nei dieci anni trascorsi dall'introduzione dell'euro non si è stati capaci di rimuovere: la separatezza tra politica monetaria e politica fiscale. La Banca centrale europea non svolge un ruolo di prestatore di ultima istanza perché non ha dietro di sé uno Stato, ma diciassette Stati con altrettanti debiti pubblici. Di conseguenza non deve sorprendere che i contribuenti dei Paesi con i conti in ordine siano restii a mostrarsi solidali nei confronti dei Paesi con alti livelli di debito pubblico, in nome di un interesse comune. Lo stesso Delors ha recentemente voluto ricordare che le attuali difficoltà dell'euro dipendono da un "vizio di costruzione del sistema",
di Carlo Azeglio Ciampi - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/ki8NB


(...) In questi giorni sono in molti a suggerire alla Germania di imparare dalla propria storia. Ad aprire la strada ad Adolf Hitler non fu l’iperinflazione del 1923 che distrusse i risparmi della classe media; fu l’austerità di massa del 1930-32, salari tagliati e posti di lavoro cancellati. Perlopiù i tedeschi tendono a vedere la seconda come conseguenza della prima e di fattori esterni al loro Paese. Solo pochi, come il novantenne ex cancelliere Helmut Schmidt, incitano a riflettere meglio.

Non è facile rimontare la china della sfiducia, se ancora molti in Germania (circa metà di quelli che hanno risposto ieri a un sondaggio online del Financial Times Deutschland ) e molti nel mondo sono convinti che «nemmeno Monti riuscirà a salvare l’Italia». Ed è purtroppo possibile che il fatidico spread sui titoli a 10 anni resti ancora a lungo sugli attuali livelli. Ma più la tensione si manterrà, più l’Italia rischia di infossarsi in una recessione grave, con possibili ondate di reazione populista.

Per scampare ai pericoli occorre non solo fare per tempo le mosse giuste, ma farle nella sequenza giusta, come ha detto qualche settimana fa Mario Draghi. L’annuncio della Merkel sul maggiore contributo tedesco al Fondo di salvataggio europeo consente un minimo di speranza; si tratta tuttavia di un progresso lento, ancora nella logica di cui sopra.(...)


(...) È netta infatti l'impressione che dopo tanti tentennamenti (e forse sulla scia della frenata tedesca nell'ultimo trimestre) proprio a Berlino, con l'incontro Merkel-Monti, si sia aperta, di fatto, la strada per uno nuovo patto europeo a favore della crescita. Il che significherebbe, per l'Europa, una svolta di eccezionale portata, al di là della ritrovata credibilità dell'Italia. Il nostro Paese, ha potuto così dire Monti, non è più «fonte d'infezione» per l'Europa ma è parte integrante, assieme a Germania e Francia, del motore pro-sviluppo. E proprio Germania, Francia e Italia, nell'incontro triangolare in calendario per il 20 di gennaio a Roma, potrebbero suggellare questo nuovo orizzonte in vista della stesura definitiva del nuovo "patto fiscale" che dovrà entrare in vigore il primo marzo. (...)


(...) Appunto, non è semplice: ci riusciremo?
«L’Italia è protagonista in questo negoziato. In questo momento, in vista dell’incontro a Roma con Merkel e Sarkozy, il punto è la solidarietà europea. Io l’ho avvertita nell’incontro con Alain Juppé, il presidente Monti l’ha ricevuta dalla Cancelliera Merkel a Berlino. Ora, quella solidarietà deve diventare consapevolezza e concretizzarsi nel fiscal compact e con la disponibilità dei fondi che verranno autorizzati dall’European Stability Mechanism e diventare la risposta che l’Europa dà all’andamento dei mercati, il cosiddetto «fire wall». In altre parole, l’Europa ha bisogno dell’Italia, ed è essenziale che la risposta dei partner europei sia omogenea, che ci venga incontro nella stessa direzione».

Monti, ricevuti i pubblici elogi da Merkel, ha detto di aspettarsi tassi di interesse più bassi. Un modo per accennare al tema della crescita. A che punto è il negoziato sul nuovo Trattato?
«I lavori a livello tecnico procedono speditamente, e si concluderanno per il Consiglio del 30 gennaio. Non abbiamo particolari problemi per quanto riguarda la regola del pareggio di bilancio, condividiamo in questo l’impostazione tedesca e la seguiamo, rassicurando i mercati. Il punto per noi più delicato è quello relativo al ritmo di riduzione del debito pubblico. L’obiettivo di abbattere di 1/20 all’anno la parte eccedente il 60 per cento di debito in rapporto al Pil già esiste, ma se si interpreta la norma in modo solo meccanico e rigido non tarderebbero a prodursi effetti recessivi molto pesanti. Si rischierebbe di morire di risanamento, il che non è interesse di nessuno, in Europa. Poi c’è un’esigenza di equilibrio tra disciplina fiscale e crescita, ed equilibrio tra disciplina fiscale e solidi meccanismi di stabilizzazione. Abbiamo alleati su questo: la Francia, e la Germania che sta assumendo un approccio realistico. La convocazione di un Consiglio europeo a fine gennaio dedicato a crescita ed occupazione conforta le nostre posizioni».

(...) Ministro, superata la crisi dell’eurozona, l’Europa si impegnerà a trovare ulteriore coesione? L’Italia continuerà a giocare da protagonista, o passata la bufera tutto tornerà all’ordinaria, burocratica, amministrazione?
«Dopo una maggiore integrazione nelle politiche di bilancio, credo si debba aprire il capitolo della politica di sicurezza e di difesa. La strategia attuale risale al 2008. L’Italia è all’origine di un’azione che a dicembre ha portato alla creazione di un centro di pianificazione operativo a Bruxelles, sebbene limitato specificamente alle operazioni per il Corno d’Africa, e senza con questo duplicare la Nato. E’ un punto di partenza: occorre andare avanti, costruire. L’Europa ha bisogno di una politica di sicurezza e di difesa comune, in chiave di complementarietà con la Nato. Ed è un salto di qualità necessario anche per il programma di diplomazia multilaterale dell’aministrazione Obama. Dobbiamo, noi europei, assumerci sempre maggiori responsabilità, dobbiamo avere una politica di difesa comune ed arrivare ad essere, per gli Stati Uniti, partner paritari anche nella sicurezza».


(...) Le politiche anticrisi tedesche non si sono limitate a una cura dimagrante della spesa pubblica, ma hanno incluso un intervento diretto, ed efficace almeno in termini quantitativi, dello stato nel mercato del lavoro. Un pacchetto di provvedimenti introdotti a partire dal 2003 dal governo rosso-verde di Gerhard Schröder – molto contestati sia all'epoca sia oggi perchè considerati iniqui – si è rivelato specialmente adatto a contenere due fattori recessivi con cui diversi governi hanno fatto i conti negli ultimi anni: la spinta ai licenziamenti e l'aumento delle prestazioni sociali da erogare.
Le riforme, rafforzate negli anni successivi dalla “grande coalizione” CDU-SPD, prevedono da un lato l'esenzione del pagamento dei contributi per chi assume lavoratori part-time a basso salario e generosi sconti fiscali per chi vuole proporsi come piccolo imprenditore a basso reddito. Dall'altro, un deciso taglio dei sussidi di disoccupazione, accompagnato da un inflessibile meccanismo sanzionatorio per chi non rispetta i tempi o non accetta lavori “ragionevoli” anche a salario più basso del precedente. Il tutto sotto il controllo di un'agenzia pubblica, che si occupa anche di mettere in contatto l'offerta e la domanda di lavoro.
Il miglioramento del bilancio conseguito in tal modo (e irrobustito da un aumento dell'IVA di tre punti nel 2007) ha permesso al governo di intervenire in misura leggera su capitoli importanti di spesa pubblica come sanità e istruzione. La tenuta dei consumi interni ha consentito alle aziende di tornare a investire e ad assumere, potendo anche approfittare della contemporanea debolezza dei concorrenti, con risultati eccezionali sul piano delle esportazioni nei mercati meno esposti alla congiuntura.
Insieme a quello della disoccupazione, il dato del deficit – tornato ai livelli pre-crisi – colloca la Germania in una situazione più felice di quella che stanno vivendo le economie inglese e americana. Queste infatti, nonostante i livelli di crescita positivi, sono alle prese con un tasso di disoccupazione pressochè raddoppiato e un deficit di bilancio alle stelle rispetto a quattro anni fa. I tagli alla spesa sociale e l'assottigliamento della classe media che ne sono conseguiti hanno provocato negli Stati Uniti e nel Regno Unito, secondo molti analisti, un aumento delle diseguaglianze molto maggiore di quello riscontrato in Germania nello stesso periodo, con un analogo riflesso sulla conflittualità sociale.(...)

Dopo la visita del presidente francese Nikolas Sarkozy del 9 gennaio, l'11 è toccato a Mario Monti recarsi a Berlino per discutere con Angela Merkel. Il premier ha ottenuto il sostegno della cancelliera e un ammorbidimento della posizione tedesca.

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